Improvviso dietrofront dell’agenzia di rating, non sempre tenera con l’Italia. Un mese fa l’allarme sulla tenuta dell’esecutivo Conte e i rischi per il Recovery Plan. Ora la sponda a Draghi, che può fare quelle riforme rimaste finora solo un sogno. Ma attenzione alle similitudini con il governo di Mario Monti…
Era il 22 gennaio scorso quando l’agenzia di rating Moody’s, da sempre la meno tenera con l’Italia tra le sorelle del rating, lanciò l’allarme. Il governo di Giuseppe Conte perdeva pericolosamente colpi, potenza, mentre il virus rialzava la testa e il Recovery Plan, plasmato in quei giorni, rivelava le sue prime crepe. E allora, ecco il giudizio impietoso: Conte troppo debole, Recovery Plan a rischio. Risultato, spread in rialzo, Borsa in rosso. Impossibile non vedere i fantasmi del 6 maggio 2010, quando un report della stessa Moody’s molto negativo sull’Italia (governava, allora, Silvio Berlusconi), gettò ne panico i listini, aprendo la strada alla crisi del debito sovrano che fu tra le con-cause della caduta del governo (novembre 2011).
Ora, nemmeno un mese dopo, l’agenzia si è rimangiata la parola. A Palazzo Chigi non c’è più Giuseppe Conte, bensì Mario Draghi. E lo spread, questo è vero, è passato dai 111 punti base dei giorni precedenti all’incarico ai 91 di oggi, con un rendimento sul Btp decennale saldamento inchiodato allo 0,5%. Tanto, forse è bastato a Moody’s per ritrattare. Se poi sia molto più semplicemente merito del grande credito internazionale di cui gode Draghi, questo non è dato saperlo. Ma la sostanza non cambia.
E dunque, ecco il cambio di passo, ben incastonato nel Credit Outlook. “Le prospettive dell’Italia migliorano con Draghi, ma la sfida del nuovo governo sarà mantenere lo slancio per le riforme necessarie al Paese quando l’emergenza pandemica sarà alle spalle”. Insomma, il nuovo governo guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea “probabilmente punterà a riforme economiche strutturali per migliorare la crescita”, aiutato anche dal Recovery Plan che l’Italia presenterà ad aprile a Bruxelles e che “includerà progetti infrastrutturali di alta qualità, che potrebbero migliorare le prospettive di crescita”, almeno nel breve periodo.
Non è però tutto rose e fiori, anche se il premier è quel Mario Draghi salvatore dell’euro. Perché nel lungo periodo qualcosa potrebbe andare storto, ha avvertito Moody’s. “Una volta superata l’emergenza pandemica”, scrive Moody’s, “una sfida chiave per il governo Draghi sarà mantenere lo slancio per le riforme e l’appoggio politico per i cambiamenti”. “Alcuni partiti o gruppi parlamentari si sono opposti per anni ad alcuni aspetti delle riforme giudiziarie e amministrative proposte dalle precedenti amministrazioni”. E questo potrebbe comportare rischi non secondari per l’azione del nuovo esecutivo.
Nel documento c’è persino spazio per un paragone, di quelli che evocano altre epoche, con tutte le luci e le ombre annesse: Mario Monti. Perché l’attuale momento “può essere paragonato al governo tecnocratico guidato da Mario Monti nel 2011-2013”. Certo, “l’esistenza del Recovery Fund dell’Ue è una differenza importante ma il perseguimento da parte del nuovo governo di un pacchetto di riforme economiche che sarà soggetto alla supervisione di Bruxelles è forse una similitudine altrettanto importante”. Il che non è necessariamente un bene visto che tale assonanza “potrebbe amplificare le tendenze populiste anti-Ue cresciute nell’ultimo decennio con conseguenti rischi nel lungo periodo per il governo.