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Serve una riforma elettorale (non proporzionale). E sul centro… La versione di Occhetta

Il gesuita padre Padre Francesco Occhetta, docente della Pontificia Università Gregoriana e coordinatore del progetto “Comunità di connessioni” invoca la rinascita di un centro in politica, inteso però come vera “centralità” della stessa e come “meta-luogo culturale” e sul proporzionale…

Per ottenere la governabilità in Italia serve una riforma elettorale, non proporzionale. Meglio il doppio turno francese o quello delle regionali. A dirlo è padre Francesco Occhetta, gesuita, docente presso la Pontificia Università Gregoriana e coordinatore del progetto Comunità di Connessioni, nella nota politica del mensile Vita Pastorale.

Per Occhetta, dopo l’arrivo di Mario Draghi, “ripensare insieme le regole diminuirebbe lo strapotere dei partiti piccoli, spesso in grado di bloccare la vita politica del Paese, darebbe la possibilità di fare riforme urgenti rasserenando il clima politico; favorirebbe coalizioni di governo stabili che rispettino la centralità e l’autonomia del Parlamento; consentirebbe coalizioni moderate in cui le forze politiche si impegnino a realizzare il programma elettorale, faciliterebbe coalizioni alternative basate su ideali e programmi diversi”.

C’è però un problema, e Occhetta lo evidenzia senza mezzi termini: “Ma davvero si vorrebbe ritornare al proporzionale che favorirebbe il voto di scambio e la frammentazione del tutti contro tutti? In questo scenario instabile il doppio turno francese, o l’elezione dei sindaci e dei presidenti delle Regioni che permette di votare con ‘il cuore’ e con ‘la ragione’ non aiuterebbe il sistema politico ad assestarsi?”.

Al contrario, “una buona legge elettorale determinerebbe la composizione del Parlamento e influendo su quella del governo, preparerà il terreno per le riforme. Le esperienze europee sul tema, inclusa quella dell’Assemblea costituente italiana, insegnano che una legge elettorale si sceglie solo dopo aver chiarito i poteri costituzionali da affidare agli organi dello Stato”. Conclusione con citazione: “Scriveva Seneca nella crisi di Roma, Vita sine proposito vaga est, la vita come la politica, senza una meta, è vagabondaggio”.

In un suo recente scritto sulla rivista del progetto Comunità, Occhetta si è soffermato sul “centro” politico, inteso come “centralità”: “È molto di più di un’area: è un metodo, un processo antropologico ed etico, si qualifica dal gradualismo delle riforme, dalla moderazione dei linguaggi e dalla cultura della mediazione, tesa a cercare punti di equilibrio validi per tutte le parti. Il suo interclassismo ha sempre ridotto le disuguaglianze tra le classi sociali ed è l’equilibrio per una società aperta e inclusiva in grado di assorbire le tensioni sociali”.

Occhetta fa subito un esempio dei nostri giorni riferendosi all’identità del Governo Draghi, che è quella, ricorda, “di avere uno scopo ed essere di scopo”, e che per questo “avrà bisogno di ‘centralità’ politica che giustificherà l’appello fatto nel suo discorso all’unità come ‘dovere’. Dovere funzionale, ma anche morale, per perseguire gli scopi dichiarati. La centralità aiuta a costruire unità, ma non significa unanimità. – aggiunge il gesuita – Il tempo chiarirà in fretta le vere intenzionalità morali delle parti politiche che insieme hanno applaudito la nascita di questo Governo. È per questo che occorre essere realisti e responsabili più che ottimisti e spettatori. La politica non può ridursi a tecnica o a procedura ma è sostanza e valore, altrimenti i temi come immigrazione, disoccupazione, famiglia, privacy, ambiente, fisco diventano bandiere da sventolare ideologicamente. Spesso si usa la stessa parola attribuendo significati opposti, come nel caso di ‘ambiente’ che viene usato dalla cultura pentastellata e quella leghista con accezioni diverse”.

Tornando alla centralità della politica che negli anni passati ha anche coinciso in molti casi nel “centro”, padre Occhetta afferma che “se il Paese è cresciuto lo si deve a questa radice culturale nascosta, ma ancora vivente, che permette alla giustizia di essere riparativa e non vendicativa, al lavoro di essere pagato, alla dignità rispettata, all’accoglienza di essere una rinascita sociale invece di una minaccia. Se si vuole far nascere una stagione costituente, con visione e competenze nuove, governance e regole, occorre ritrovarsi in questo meta-luogo culturale come fecero i costituenti per riprogettarsi e riprogettare. Altrimenti senza ricostituzione il Parlamento svuoterebbe la sua legittimità e credibilità”.

“La centralità politica – sostiene ancora Occhetta – è come la rosa dei venti: rappresenta il punto di intersezione dove le politiche di ‘destra’ e di ‘sinistra’ e le nuove politiche del ‘nord’ e del ‘sud’ sono obbligate a passare per mantenere il Paese nel suo assetto democratico inscritto nella Costituzione”.

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