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Il vento di Francesco arriva in Libano. Nel pieno di un “golpe strisciante”

Il discorso del Patriarca davanti a migliaia di libanesi (davvero molte migliaia) è stato così coraggioso da segnare uno spartiacque nella storia del pensiero del cristianesimo orientale, sempre orientato a piegarsi alla protezione del sultano di turno per paura di una fine peggiore. Ora basta, ha detto

Come mai non ha grande eco la denuncia del cardinale Bechara Rai (nella foto) per il quale in Libano c’è qualcosa di simile a un golpe strisciante? Il cardinale è anche il patriarca della più numerosa chiesa di tutto il mondo arabo. Gli innumerevoli esaltatori della nostra amicizia per i “cristiani d’oriente” non sono sintonizzati? Forse è stato il suo appello ai giovani ai proseguire le proteste di piazza, in stile primavera araba – cioè di massa e non violente- ad aver creato apprensione.

I grandi orientamenti politici occidentali non hanno guardato con grande passione alla “primavera araba”. Per la sinistra antagonista era di fatto una creatura americana contro i grandi anti-americani del mondo, Gheddafi, Assad, Khomeini. Per l’identitarismo pseudo-cristiano e pseudo-occidentale era una creatura del terrorismo islamista, che solo gli uomini forti avrebbero potuto domare.

Il patriarca Bechara Rai nel corso degli anni passati ha saputo interloquire con entrambi questi orientamenti: ha sostanzialmente sostenuto Assad dicendo alla piazza siriana che lottare per la democrazia non vale il costo di una sola vita umana, ha compreso le ragioni di quei cristiani che ritenevano di dover cercare protezione. Ora non più. Ora Bechara Rai, da patriarca della principale chiesa araba, ha visto i cristiani alleati dei potentati al potere mettere a rischio la stessa sopravvivenza del suo Paese, che da quando è stato fatto esplodere il porto di Beirut il 4 agosto scorso non riesce a darsi un governo, è ridotto senza corrente elettrica, con una valuta che non si cambia più a 1500 per un dollaro, ma a 8000 per un dollaro e con le armi di Hezbollah che uccidono impunemente, di nuovo, ora chi è capace di dire che la verità sul porto si sa: quel nitrato di ammonio era stato portato clandestinamente a Beirut da Hezbollah per aiutare Assad nella sua guerra contro i siriani.

Il patriarca Bechara Rai ha capito che quell’intellettuale, lo sciita dissidente Loqman Slim, è stato ucciso da Hezbollah e ha chiesto se uno Stato possa non avere il controllo delle armi (e degli armati) sul suo territorio, se un popolo possa non chiedere che il potere giudiziario non sia politicizzato (il magistrato che indaga sull’esplosione del porto di Beirut è stato rimosso, mentre nulla si è saputo sull’assassinio Loqman). Il patriarca ha avuto la forza e il coraggio di capire che nonostante i suoi comprensibili timori del passato, le sue comprensibili paure del passato, doveva parlare ai libanesi, e ha parlato. “Lo Stato non si costruisce con l’equilibrio della forza, ma con la forza dell’equilibrio”, ha scandito chiedendo una conferenza internazionale per salvare il Libano.

Bechara Rai ha chiesto un “Libano sovrano e neutrale”. Questa parola, neutralità, lo ha fatto diventare oggetto di attacchi violenti da Hezbollah. Ma tutti sanno cosa significa. Nella guerra tra panarabisti e panislamisti, tra fanatismo nazionalista e fanatismo religioso, il Libano è neutrale. È sempre stato neutrale. Entrare, con le milizie o le torture in un campo o nell’altro, significherebbe uccidere il Libano che non è un Paese ricco di sostanze del suolo o del sottosuolo, ma delle sue libertà che i Paesi ricchi non hanno.

Il discorso del Patriarca davanti a migliaia di libanesi (davvero molte migliaia) è stato così coraggioso da segnare uno spartiacque nella storia del pensiero del cristianesimo orientale, sempre orientato a piegarsi alla protezione del sultano di turno per paura di una fine peggiore. Ora basta, ha detto, chiedendo a tutti i libanesi di proteggere i diritti del popolo e arriva a poche ore dal viaggio nella regione di papa Francesco.

Lo interpella, lo riguarda e in certo senso lo spiega. I disegni identitaristi delle milizie nel campo sunnita, come l’Isis, o di quello sciita, come Hezbollah, sono analoghi opposti e incompatibili con la fraternità di cui parlerà il papa e di cui ha indicato i caratteri Bechara Rai. Fraternità vuol dire ripulsa di ogni identitarismo fanatico, di ogni imperialismo settario, come di ogni alleanza settaria contro qualcuno. Le paci sono deboli se fatte contro qualcuno, le paci sono forti se fatte per qualcosa. Oggi la bussola che indica Bechara Rai è la pace libanese che non si piega a egemonie settarie o discriminatorie nel nome di una guerra ideologica contro qualcuno. Questa pace vale in Siria, in Iraq, nello Yemen e in tanti altri Paesi. Le ideologie politiche antagoniste, antiamericana o islamofoba, ne sono il rifiuto.

Ieri, nonostante qualche cedimento agli umori di un Paese sconvolto dalla povertà, il patriarca maronita Bechara Rai ha spiegato che solo il movimento popolare di piazza, da Beirut a Baghdad, salva i cristiani nelle società arabe e proietta quelle società nella costruzione del loro futuro, non del loro passato. I cristiani fuggono da un mondo che non hanno cambiato, ma i cui leader hanno finito con l’accettare com’è. Le milizie sunnite, cioè di coloro che costruirono le grandi sedi califfali, seminano bombe e odio, le milizie filo-iraniane, cioè del paese depositario di una cultura millenaria e così ricca da fare invidia al mondo, portano esecuzioni e distruzioni. Solo insieme si può invertire il corso della storia e costruire un futuro diverso.

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