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Da Parri ai dorotei, la rivoluzione di Salvini nel via libera a Draghi

È un Salvini nuovo, che manda un messaggio di affidabilità anche ai mercati e alle istituzioni europee e internazionali, una “rivoluzione” da cui non potrà tornare indietro. Il suo via libera al governo Draghi influirà su molti passaggi futuri della politica italiana

Già dalle sue prime parole si intuiva la giornata importante, poi all’improvviso l’illuminazione: Santa Dorotea. Matteo Salvini esce dall’incontro con Mario Draghi e cita il santo del giorno, che non è strettamente connesso alla crisi di governo e che però riporta al convento romano dove nel 1959 nacque una delle correnti più importanti della Democrazia cristiana, i dorotei appunto, da decenni sinonimo di moderazione e di un certo modo di interpretare la politica. Da lì è stato un fiume in piena: i governi Parri e De Gasperi, nessun veto e nessuna condizione, posizione atlantica limpida perché siamo amici degli Stati Uniti e di Israele.

Era proprio lui, Salvini, che ha definitivamente sposato la tesi europeista e realista di Giancarlo Giorgetti e in pochi minuti ha presentato una Lega come non si era mai vista aprendo alla nascita del nuovo governo e mettendo in difficoltà un po’ tutti tranne Silvio Berlusconi: aumenta l’imbarazzo di Pd e LeU che ancora non ce la fanno a dire sì a un esecutivo che comprenda i leghisti, aumenta l’isolamento di Giorgia Meloni che cerca di limitare i danni del voto contrario alla fiducia con la possibile astensione su singoli provvedimenti, forse può aumentare il numero dei parlamentari del Movimento 5 stelle ribelli che non seguiranno il diktat di Beppe Grillo e l’invito alla maturità espresso da Luigi Di Maio.

La prova che Salvini è pronto a tutto è rappresentata dall’immigrazione: “Ci devono essere alcuni obiettivi condivisi, ciascuno deve rinunciare a un pezzo di priorità per fare un tratto di strada, che non sarà lungo, insieme”. Sull’immigrazione la posizione è quella dell’Europa che chiede di difendere le frontiere con umanità, ma anche con sicurezza e “non penso dunque che sia questo un tema divisivo”, ha spiegato il leader leghista glissando su una precisa domanda che riguardava i suoi decreti sicurezza.

La condivisione con Draghi sullo sviluppo dell’Italia è totale, dallo sblocco dei cantieri al settore del turismo che sta soffrendo più di altri per la pandemia, dalla gestione dei vaccini alle tasse. Nessun veto sui nomi dei ministri tranne uno, Elsa Fornero, che non sarebbe accettata e “contro” la quale nacque Quota 100. Ma Draghi farà sintesi. La sintonia con il presidente incaricato è stata la prima cosa detta dal leader leghista che ha ammesso la difficoltà di un governo molto ampio: “Per me sarebbe impegnativo stare in maggioranza con queste persone, ma questo è sufficiente per dire no a quello che serve al Paese? No. Qualcuno per interesse personale alle elezioni non ci va, è terrorizzato dalle urne, io preferisco esserci e controllare”.

Rilevante anche il passaggio sulla politica internazionale, visti gli “scivoloni” degli altri, e ha ribadito la posizione atlantica con l’amicizia nei confronti degli Stati Uniti e di Israele e le buone relazioni con i paesi democratici. Ha sottolineato gli “scivoloni” senza citare i 5 stelle, viste certe loro posizioni filo gilet gialli o filo cinesi, nonostante i ben noti rapporti con la Russia tenuti dallo stesso Salvini e da suoi strettissimi collaboratori. La vicenda dell’Hotel Metropol di Mosca servì da avvertimento e ormai sembra lontanissima politicamente (inchieste a parte).

Paragonare l’emergenza di oggi a quella dei governi di Ferruccio Parri e di Alcide De Gasperi, quindi l’immediato dopoguerra, significa rilanciare la necessità di un governo di tutti o quasi in un passaggio storico come l’attuale. È un Salvini nuovo, che manda un messaggio di affidabilità anche ai mercati e alle istituzioni europee e internazionali, una “rivoluzione” da cui non potrà tornare indietro. Il suo via libera al governo Draghi influirà su molti passaggi futuri della politica italiana.


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