Quando grazie ai vaccini e all’immunità di gregge il mondo avrà superato l’emergenza sanitaria, tutte le nazioni si troveranno ad affrontare le conseguenze economiche e sociali della pandemia rispetto alle quali si misurerà la capacità dei governi di assicurare ai propri cittadini non solo la tutela della salute ma anche nuove e più adeguate condizioni di vita. L’analisi di Giancarlo Elia Valori
Il biennio 2020/2021 passerà alla storia come il biennio della pandemia da Covid-19, una catastrofe sanitaria su base globale che, anche se meno grave delle due grandi pandemie del ‘900 – la Spagnola del 1918-1920 e l’Asiatica del 1958/1960 – ha provocato e sta provocando non solo gravissimi problemi alla salute di milioni di cittadini del pianeta, ma anche pesanti riflessi negativi di natura sociale ed economica.
Quando grazie ai vaccini e all’immunità di gregge il mondo avrà superato l’emergenza sanitaria, tutte le nazioni si troveranno ad affrontare le conseguenze economiche e sociali della pandemia rispetto alle quali si misurerà la capacità dei governi di assicurare ai propri cittadini non solo la tutela della salute ma anche nuove e più adeguate condizioni di vita.
Si tratterà di una sfida complessa che potrebbe tuttavia rappresentare un’occasione storica per varare nuovi modelli di sviluppo in grado non solo di migliorare le condizioni di vita della gente ma anche di migliorare l’ambiente in cui viviamo con nuove e coraggiose politiche energetiche. I piani di Recovery dalle disastrose conseguenze economiche della pandemia sono tutti orientati, fortunatamente, verso quella che anche a livello istituzionale in Italia è stata definita la Transizione ecologica, una formula che vuole orientare la pianificazione di uscita dalla crisi economica verso un uso sempre più ampio delle energie alternative.
Queste ultime, d’altronde, sono uscite praticamente indenni dalla crisi pandemica: secondo l’ultimo rapporto (dicembre 2020), dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, Aie, “le energie rinnovabili possono definirsi quasi immuni rispetto agli aspetti economici della pandemia”. Anche se la domanda globale di energia è diminuita del 5% nel 2020 a causa del crollo della produzione industriale, il consumo di energia generata da vento, sole e mare nello stesso periodo è aumentato del 7%.
Non solo: la crisi sanitaria sta provocando la progressiva chiusura delle vecchie infrastrutture di combustibili fossili. Faith Birol, direttore esecutivo dell’Aie ha tuttavia dichiarato che “le energie rinnovabili sono resilienti alla crisi del Covid, ma non alle incertezze politiche… i governi dovrebbero contribuire a realizzare una ripresa sostenibile con la transizione verso l’energia pulita”.
Se, sottolinea Birol, “verranno attuate negli Stati Uniti le politiche promesse in campagna elettorale dal presidente Biden” nei prossimi anni l’America potrebbe dare un contributo fondamentale alla decarbonizzazione del settore energetico. Un passo simbolico di grande portata politica è stato comunque già compiuto dal nuovo inquilino della Casa Bianca che, come primo provvedimento assunto nello studio ovale a poche ore dal suo insediamento, ha voluto siglare la direttiva che riporta gli Stati Uniti nel perimetro degli Accordi di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico del 2012, accordi da cui Donald Trump si era platealmente dissociato. Secondo lo studio Aie, nel 2021 le rinnovabili cresceranno in modo sostanziale in tutto il mondo trainate dall’impegno di Cina e Stati Uniti, mentre anche India ed Europa faranno la loro parte con una crescita della produzione da energia pulita del 10%.
Le tecnologie che si affermeranno maggiormente saranno quelle del settore eolico, idroelettrico e marino e fotovoltaico. Sempre secondo l’Aie, “la capacità totale installata eolica, solare e marina è destinata a superare il gas naturale nel 2023 e il carbone nel 2024”. Ma a parere di tutti gli esperti l’affermazione delle rinnovabili e la conseguente maggiore tutela dell’ambiente debbono essere guidate dalla politica, una politica che voglia vincere la scommessa di un’uscita positiva dalla crisi Covid non solo con un ritorno allo status quo ante pandemia ma anche e soprattutto con la costruzione di solide basi di un mondo migliore.
Come detto, la Cina si sta dimostrando soggetto trainante della “svolta verde” della produzione energetica. Dopo essere stata, grazie a un vorticoso sviluppo economico, una delle maggiori fonti di inquinamento globale e uno dei maggiori “contribuenti” al riscaldamento globale, la Repubblica Popolare Cinese ha varato un nuovo piano quinquennale (il 14°) nel cui ambito “la Cina – secondo le parole del giovane ministro delle Risorse Naturali Lu Hao – dovrà sviluppare e promuovere la convivenza armoniosa tra uomo e natura, attraverso il miglioramento a tutto tondo dell’efficienza nell’uso delle risorse e un equilibrio corretto tra protezione e sviluppo”.
Ed è un impegno importante al quale Pechino ha dato subito corso promuovendo in modo concreto la ricerca e lo sviluppo nel campo della produzione di elettricità dalle onde marine e di Idrogeno grazie all’elettrolisi dell’acqua, anche attraverso modelli innovativi di cooperazione scientifica con l’Europa. Nel suo piano quinquennale la Cina prevede che nel 2030 le emissioni di anidride carbonica per unità di Pil saranno ridotte del 65% rispetto al 2005 e che le rinnovabili e pulite saranno al primo posto nella produzione di energia.
L’Unione Europea investirà 470 miliardi di euro per progetti di ricerca e sviluppo nel campo dell’energia pulita con particolare riguardo alla produzione di energia a partire dall’idrogeno, nel quadro di un progetto dell’estate 2020 denominato “Strategia per l’energia dell’idrogeno” grazie al quale entro il 2024 l’Unione si doterà di apparecchiature per l’elettrolisi dell’idrogeno rinnovabile in grado di surclassare le energie non rinnovabili e inquinanti, con la produzione di un milione di tonnellate di Idrogeno pulito.
L’Europa è stata sempre all’avanguardia nella produzione di energia marina e ha sviluppato tecnologie che si sono rapidamente diffuse negli Stati Uniti, in Australia e, soprattutto, in Cina. L’Italia e all’avanguardia nella ricerca e nella produzione di energia pulita dalle onde e dall’Idrogeno. Ed è italiano il “pinguino,” un dispositivo che collocato in mare a 50 metri di profondità produce energia senza alcun impatto negativo sulla flora e sulla fauna.
Ed è italiana l’Iswec (Inertial sea waves energy converter), una macchina che, occupando una sezione di mare di soli 150 metri quadri produce annualmente 250 MWh di energia elettrica abbattendo da sola la produzione e le emissioni di CO2 di 68 tonnellate l’anno. Saranno italiane le apparecchiature per la produzione di Idrogeno con l’elettrolisi su scala industriale che porteranno a una produzione annua di 100.000 tonnellate di Idrogeno “pulito” entro i prossimi 15 anni.
In questa prospettiva prende forma il “Progetto di cooperazione Cina- Europa per la generazione di energia e produzione di Idrogeno dalle onde marine e da altre fonti di energia rinnovabile”, sotto la spinta dell’International World Group, di base a Roma, e del “National Ocean Technology Centre” cinese, di base a Shenzen.
L’accordo mira a gettare le basi per lo sviluppo di sinergie e sforzi coordinati che a partire dall’Europa si diffonderanno nel resto del mondo attraverso la “Belt and Road Initiative”, per la produzione di energia pulita dalle acque del mare in un mondo nel quale il 40% della popolazione vive in un raggi di 100 chilometri dal mare più vicino.
Nei prossimi decenni la produzione di energia pulita e il progressivo abbandono delle fonti di produzione più inquinanti, non avranno soltanto effetti economici positivi nel campo della produzione industriale.
L’energia pulita è destinata a diventare un fattore di crescita equilibrata e sostenibile ponendo le basi per nuovi modelli di sviluppo socio-economico che apriranno le porte a una globalizzazione efficace del problemi climatici e ambientali creati da quei modelli di produzione novecenteschi che, se hanno contribuito al progresso dell’umanità, erano anche arrivati al punto di provocarne il collasso.
Europa, Stati Uniti, Cina e Italia possono diventare i centri di gravità di una “svolta verde” in grado di tutelare non solo il benessere delle prossime generazioni, ma anche la loro salute. Nel mondo che verrà dopo la pandemia, l’Ambiente deve cessare di essere soltanto un bene da tutelare e da salvaguardare, ma deve diventare il motore di un nuovo modello di sviluppo, più umano, più efficiente, più pulito e più intelligente.