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Tutte le gatte da pelare per Mario Draghi. L’analisi di Polillo

Ora che al governo del Paese non c’è più il figlio di un Dio minore, ma una delle persone più stimate di tutta la comunità internazionale l’Italia potrà uscire da quella marginalità che in precedenza ne aveva caratterizzato ruolo e presenza

Per chi, come noi, ha sempre creduto nella necessità di “coniugare merito e bisogno per sconfiggere le nuove e vecchie povertà”, l’idea dell'”uno vale uno” è sembrata solo una grande idiozia. Ed i fatti, a quanto pare, ci stanno dando ragione. Lo si può vedere nel livore con cui il Fatto Quotidiano, ottimo indicatore, se la prende con Paolo Gentiloni. La colpa? Aver sottolineato il diverso peso che l’Italia può avere in Europa, grazie alla presenza, al governo, di Mario Draghi.

Ma lo stesso cruccio il Fatto lo dovrebbe dimostrare nei confronti di Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, che ipotizza nuovi ruoli dell’Italia di Draghi nello schieramento internazionale. Dopo l’avallo di Joe Biden per una diversa presenza del nostro Paese nello scacchiere mediterraneo. Ai quali endorsement, l’Italia ha risposto con la nomina di Piero Serino, attuale capo di gabinetto del Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, a Capo di stato maggiore dell’esercito.

L’evidenza dovrebbe essere palmare. Checché ne dica Rocco Casalino. Un conto è trattare con un Paese rappresentato, al massimo livello, da un professore universitario, destinato a farsi, nelle migliori delle ipotesi. Un altro è avere di fronte un personaggio che ha calcato, per venti o trenta anni, al massimo livello, la scena internazionale. Come direttore generale del Tesoro, governatore della Banca D’Italia ed infine presidente della Bce.

Mario Draghi ha unito al prestigio che deriva dalla carica ricoperta, un grande carisma personale, fatto di quella cosa impalpabile che si chiama empatia. Un misto di prestigio culturale, capacità di dialogo, forza nel convincimento. Di tutto ciò se ne ebbe dimostrazione nel momento del commiato. Il saluto che gli riservarono, nel 2001, i suoi omologhi europei, quando lasciò la direzione di Via XX settembre, non fu solo clamoroso. Per molti versi una novità assoluta. Conseguente il segno che la sua presenza aveva lasciato.

Nei giorni in cui Luigi Di Maio si lancia nell’abiura delle origini del Movimento, riscoprendo le magiche virtù del moderatismo, del liberalismo, della difesa dei diritti e via dicendo, l’interrogativo che sorge è spontaneo. Quest’evoluzione vi sarebbe stata anche con l’eventuale Conte ter? Non è, essa stessa, la conseguenza di quel sommovimento che si è prodotto nella politica italiana, grazie alla presenza del nuovo presidente del Consiglio? La verità è che conversioni di quella portata (do you remember le sceneggiate di Rocco Casalino) ci sono solo dopo le grandi sconfitte subite.

Mario Draghi guarda a tutto ciò con un sovrano distacco. Gli bastano le gatte che avrà da pelare. Il prossimo abbandono di Angela Merkel dalla scena politica tedesca ed europea lascia un vuoto enorme. Nessuno dubita che sarà colmato dal suo eventuale successore, ma ci vorrà del tempo, in un momento drammatico della vita europea. Il diffondersi della pandemia non dà tregua. Si discute se vi sarà una terza ondata, ma basta analizzarne la seconda per comprendere l’allarmante evoluzione.

Nei cento giorni della “prima ondata” i contagi erano stati circa 233 mila, i decessi 33 mila e 500. Una percentuale pari al 14,4% dei contagiati. Subito dopo: una tregua estiva, in cui il virus aveva avuto solo una circolazione endemica. Una settantina di giorni in cui i nuovi contagi erano crollati (poco più di ventimila) ma la lunga filiera delle vittime (altri 1900 decessi) si era allungata. In attesa del nuovo balzo.

Da allora sono passati circa 195 giorni. Un periodo doppio rispetto alla prima ondata. I contagi sono stati oltre i 2,6 milioni. Più di undici volte. I decessi poco più di 61 mila. Con una crescita superiore all’80 per cento, rispetto alla prima ondata ed un indice di letalità (2,4%) molto più contenuto. Per fortuna. Una contrazione di circa sei volte rispetto al precedente che non consola, tuttavia, tutti coloro che hanno subito le perdite più gravi.

Se si guarda alla situazione dell’intero continente europeo, non c’è motivo d’ottimismo. I contagi, includendovi anche quelli inglesi, sono stati pari ad oltre 26 milioni e i decessi oltre 411 mila. In percentuale sul totale mondiale, secondo le rilevazioni della Johns Hopkins, pari, rispettivamente, al 23 ed al 16 per cento. Differenze consolanti, se non fosse per il costo economico sostenuto (le chiusure a ripetizione), resisi necessarie per contenere il numero contagi e quindi dei decessi.

Nell’Eurozona i Paesi più contagiati risultano essere nell’ordine la Francia, la Spagna, l’Italia e la Germania. Che insieme cumulano oltre il 73 per cento dei casi. I più funestati dai lutti continui l’Italia (24% del totale) la Francia (21%) e la Spagna e la Germania (entrambe al 17%). Discorso a parte merita la Gran Bretagna, al terzo posto per numero dei vaccinati, dopo gli Emirati arabi e Israele. Nel regno di Sua Maestà i contagiati sono stati oltre 4 milioni ed il numero dei morti quasi 123 mila. Il 26% in più, come numero dei contagi rispetto all’Italia, ed il 45% in più come numero dei defunti.

Di fronte ad una situazione così drammatica, si avverte il vuoto nella governance, dovuto alle vicende interne tedesche. Vuoto che dovrà essere rapidamente colmato. Spetterà soprattutto alla Francia ed all’Italia, in attesa del completarsi di quella transizione. I primi risultati già si sono visti, in questo vertice europeo. A partire dall'”alto là” intimato alle compagnie produttrici del farmaco, affinché rispettino gli accordi sottoscritti. Il tutto, frutto di un lavoro preparatorio, che si è svolto nei giorni precedenti, fuori da ogni riflettore. Un cambiamento sostanziale nella tecnica della comunicazione, che marca una svolta profonda rispetto ai compulsivi atteggiamenti dei precedenti governi.

Per il resto bisognerà attendere. Ma le premesse ci sono tutte. Sarà l’intesa, soprattutto, tra Parigi e Roma, che dovrà fare da motore, in attesa che la successione tedesca si completi. Ora che al governo del Paese non c’è più il figlio di un Dio minore, ma una delle persone più stimate di tutta la comunità internazionale. Che ha dalla sua parte un consenso così vasto della comunità nazionale. La cui coesione, rispetto alle fratture passate, non potrà non rappresentare una leva potente, per far uscire l’Italia da quella marginalità, che in precedenza ne aveva caratterizzato ruolo e presenza.

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