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Quale geopolitica per Draghi? L’analisi di Lucio Caracciolo

Atlantista di ferro, amico di Berlino e Parigi, Mario Draghi è l’uomo giusto per rimettere l’Italia in pole-position nella Nato. La svolta filocinese si è già arenata, si allenterà ancora di più. Lucio Caracciolo, direttore e fondatore di Limes, spiega la ricetta Draghi per la politica estera italiana

“Chi ha detto che non esiste una geopolitica Draghi? Esiste eccome”. Parola di Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes, tra i padri della scuola geopolitica italiana.

Ma una dottrina vera e propria sulla politica estera non c’è.

Forse non l’ha elaborata, ma abbiamo tutti gli elementi per tracciarla.

Iniziamo.

Draghi ha due piedi nel mondo atlantico, un solido rapporto con gli americani ma anche con i francesi e i tedeschi. Con Berlino non ci saranno intoppi finché prevarrà la linea Merkel, che poi è quella del nuovo capo della Cdu Armin Laschet. Diverso se la Germania dovesse slittare su posizioni nazionaliste, o perfino anti-italiane.

E se le chiedessi chi vuole Draghi a Palazzo Chigi?

Ovviamente Francia e Germania. E con loro tutti quelli che non vogliono che l’Italia affondi. Draghi è l’ultima carta. Una troika interna prima che venga quella esterna e l’Italia faccia patatrac. C’è anche la prova del nove.

Sarebbe?

Chi non vuole Draghi? I rigoristi del Nord. Finlandesi, austriaci, olandesi, da incoscienti, tifano un flop italiano. Senza realizzare che sarebbe anche il loro.

Che idea si sono fatti gli Stati Uniti di Biden?

Penso che a Washington DC abbiano altre priorità. Ammesso che guardino fuori dal loro raccordo anulare, sanno bene che l’Italia è un Paese sistemico, per le sue dimensioni ma anche per le sue debolezze. Un crollo farebbe saltare l’Eurozona e forse anche lo schema euro-atlantico. I buoni rapporti con Draghi conteranno, ora aspettiamo le opinioni delle agenzie di rating.

I primi passi dell’amministrazione Usa, però, lasciano qualche dubbio. I telefoni fra Roma e Washington non sono stati proprio bollenti…

La crisi c’entra solo in parte, funziona così dal 1943, quando gli americani sono sbarcati in Sicilia. Per recuperare terreno dobbiamo muoverci bene in Europa. Capire dove vogliono andare francesi e tedeschi, rafforzare il triangolo con Parigi e Berlino. È nel nostro come nel loro interesse.

Draghi ha già parlato di atlantismo come una “filosofia politica”. Il suo sarà a tutti gli effetti un governo atlantista?

Non vedo alternative. Questa è la minestra ed è l’unica che ci conviene mangiare.

Un governo tecnico-politico non rischia di incidere poco in politica estera?

Questo semmai sarà un governo politico-politico. Mario Draghi è la figura italiana più riconosciuta al mondo. Non certo per le sue abilità econometriche ma per aver salvato l’Eurozona nel 2010. Ha tutta l’autorevolezza necessaria.

Sarà un governo meno filo-cinese?

Qui faccio un appunto. Si è parlato di svolta filocinese perché abbiamo aderito alla Via della Seta. In realtà era una svolta pro-investimenti cinesi in Italia. Una scelta nata da un approccio tutto italiano ai rapporti internazionali, improntato a una visione economicistica e non geopolitica. Peccato che con i cinesi non funzioni. Le due cose vanno sempre a braccetto.

Un punto del programma Draghi che mette d’accordo tutte le forze politiche è l’agenda Green. Cosa manca al movimento verde italiano per fare il pari con i movimenti politici verdi in crescita in Europa, come i Verdi tedeschi?

In Italia parliamo più di vernice che di sostanza. Sappiamo che per ottenere investimenti e fare operazioni di lungo respiro bisogna dare una riverniciata di verde. Purtroppo alle buone intenzioni raramente seguono i fatti, non solo qui. Non mi sembra che la Germania abbia rinunciato gli idrocarburi, per non parlare della Francia. È una retorica simpatica e interessante che, di questo passo, non produrrà più di qualche pannello.

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