In Siria c’è una presenza militare Usa, ma tutto si gioca attorno al futuro del regime di Bashar el Assad. Al centro, i diversi equilibri che ruotano attorno alla futura distribuzione del potere che coinvolge anche Iran, Russia, Turchia e potenze del Golfo. Colloquio con Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali e studi strategici alla Lumsa e analista Nato Foundation
Secondo Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali e studi strategici alla Lumsa e analista Nato Foundation, sull’attacco americano al confine siro-iracheno ci sono due diverse letture da fare: una tattica, l’altra di carattere più strategico con ricadute regionali.
Si parla dell’azione militare con cui cacciabombardieri americani hanno colpito con sette bombe JDAM alcune strutture utilizzate dalle milizie sciite Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al-Shuhada – gruppi paramilitari collegati ai Pasdaran. L’azione è stata una rappresaglia per alcuni attacchi subiti dagli Stati Uniti – nella basi militari di Erbil e Balad, all’ambasciata di Baghdad – e forse ricollegabile anche a uno scenario più ampio (ci si arriverà).
Il raid compiuto al confine orientale siriano colpisce milizie che operano prevalentemente in Iraq “e dunque ha effetto su entrambi i fronti, che sono due dossier distinti e separati sebbene con alcune sovrapposizioni”, spiega Bressan a Formiche.net.
In Siria c’è un presenza militare Usa, ma tutto si gioca attorno al futuro del regime di Bashar el Assad con diversi equilibri che ruotano sulla futura distribuzione del potere che coinvolge anche Iran, Russia, Turchia e potenze del Golfo. In Iraq c’è una situazione politica non stabilizzata su cui pesa la presenza di quelle milizie sciite; presenza che crea problemi al governo di Baghdad – che, ricorda Bressan, ha per esempio definito azioni terroristiche l’attacco su Erbil, anziché di parlare di “resistenza” come fanno i gruppi.
A livello regionale la questione riguarda l’Iran e il contenimento dei proxy che la Repubblica islamica – o meglio l’apparato dei Pasdaran – gestisce in tutta la regione, dalla Siria al Libano, dall’Iraq allo Yemen, ma anche in Pakistan e Afghanistan.
“È un lavoro di cui possiamo dire che si è finora occupato Israele, con centinaia di attacchi simili a quello americano dei giorni scorsi, compiuti per ragioni di sicurezza nazionale principalmente in Siria (raramente in Iraq); sebbene gli Usa abbiano già effettuato azioni del genere: per esempio, su tutti il culmine del confronto con le milizie sciite, l’assassinio nel raid aereo di gennaio 2020 di Qassem Soleimani”, spiega Bressan.
Soleimani era un generale vicinissimo alla Guida suprema che gestiva le Quds Force, le unità di élite dei Pasdaran a cui sono affidate le operazioni esterne: tra queste, la costruzione del network regionale di milizie con cui i Guardiani intendono muovere la loro influenza regione (Soleimani era considerato la mente di questo network).
Secondo il docente della Lumsa, l’attacco condotto dagli Stati Uniti va letto alla luce del grande movimento che è in corso nel Medio Oriente ed è un messaggio concreto su una linea rossa: “Sebbene veda Washington intenzionata a trovare una sistemazione per l’accordo sul nucleare con l’Iran, non consentirà libertà di azione ai proxy iraniani nella regione”. Su questo, spiega Bressan, “è possibile che vedremo una sorta di continuazione della strategia della massima pressione tenuta finora dall’amministrazione Trump con l’Iran”. Ossia, tolleranza zero, sul ruolo dei proxy in Iraq e Siria (senza escludere anche altre aree, vedasi Libano e Yemen).
“D’altronde – continua l’esperto – questo non ha nessuna contraddizione con il lavoro diplomatico verso la ricomposizione di un accordo sul nucleare: certo è che un nuova intesa deve avere ambizioni più ampie e non solo limitarsi al controllo delle centrifughe e degli arricchimenti”.
Su queste colonne l’analista dell’Ecfr Cinzia Bianco ha presentato una sua proposta di policy che sta ricevendo molta attenzione in Europa. Si tratta sostanzialmente di un aumento del coinvolgimento europeo come pontiere tra Iran e Golfo, in modo da gettare le basi per un’architettura regionale (e perché no da perimetrare con linee rosse come quelle sulle milizie).
“Andando ad allagare le responsabilità in ottica multilaterale – aggiunge Bressan – vari attori possono trovare un ruolo molto più ampio nella regione, e il re-inserimento dell’Iran in un pensiero di architettura regionale potrebbe essere un passo per giocare una carta di vera politica di sicurezza in tutto il Medio Oriente allaragato, sfruttando anche il lascito degli Accordi di Abramo, evitando di mantenere il confronto muscolare sotto traccia come invece abbiamo visto con il Jcpoa”.