L’eventuale Draghi insediato a Palazzo Chigi assomiglierà al presidente della Bce che, fino al 2019, ha raccomandato ai Paesi con più problemi economici come l’Italia riforme radicali e più competitività? La risposta è…
Se Mario Draghi riuscirà a formare un governo sarà diverso dagli esecutivi guidati da Conte. Affronterà i problemi immediati con una logica da “economia di guerra”, ma anteporrà competitività e formazione ad aiuti e sussidi ai giovani.
La domanda che comincia a circolare nei palazzi è se l’eventuale Draghi insediato a Palazzo Chigi assomiglierà al presidente della Bce che, fino al 2019, ha raccomandato ai Paesi con più problemi economici come l’Italia riforme radicali e più competitività. La risposta è: solo in parte. Perché la pandemia ha modificato anche la visione che, maggioranze permettendo, sarà alla base della Draghinomics.
L’economia non potrà che essere al centro dell’azione del nuovo esecutivo. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha giustificato il mandato di un “governo di alto profilo” con l’emergenza occupazione e la necessità di gestire i fondi europei.
Rispetto ai due esecutivi Conte non potrà che esserci un cambio di passo nella ricetta per affrontare il coronavirus e, cosa più importante, nel Recovery plan italiano, il Piano di ripresa e resilienza (PNRR). In sintesi, più riforme con effetti di medio e lungo periodo che aiuti una tantum. Quindi attenzione alla competitività delle imprese oltre che a misure tampone per la liquidità. Allo stesso modo, focus sui giovani, ma non con sussidi che non siano orientati all’occupabilità. Come il reddito di cittadinanza.
Debito pubblico per uscire dalla pandemia. Il Draghi dell’era coronavirus è un keynesiano. Per affrontare l’emergenza Pandamia – ha spiegato nel marzo scorso al Financial Times – serve un’economia di guerra. Sostegno alle imprese e alle famiglie ricorrendo a quel debito pubblico che da presidente della Bce raccomandava di ridurre. Livelli alti di debito pubblico “diventeranno una caratteristica permanente della nostra economia”, ha spiegato. Draghi ha da subito chiesto sostegno alla liquidità delle imprese, ricorrendo all’aiuto delle banche. E, già nelle prime settimane di pandemia aveva sottolineato la necessiti di “evitare lungaggini burocratiche”. Tradotto oggi, questo può significare un’accelerazione all’attuazione delle erogazioni alle imprese, magari anche per la cassa integrazione. Ma anche il sostegno ad una riforma delle garanzie sui crediti deteriorati delle banche, che è uno dei temi più caldi a Bruxelles in questi giorni.
Un fisco che non si accanisca sui cittadini. Stanno crescendo le pressioni per fare aumentare la pressione su patrimoni, consumi e redditi alti, ma non è scontato che un governo guidato Mario Draghi, come i predecessori tecnici ad esempio Mario Monti, voglia ricorrere alla leva fiscale per fare cassa e tamponare almeno in parte gli effetti finanziari delle politiche di emergenza. Le economie di guerra, ha ricordato lo stesso ex presidente della Bce, non sono mai stata finanziata con le tasse, se non in minima parte. La Germania coprì con le tasse i costi del primo conflitto mondiale solo per una quota tra il 6 e il 15%. Francia e Russia zero. Come dire, la risposta all’emergenza non si finanzia con le risorse di chi l’ha subita.
Aiuti alle imprese selettivi. L’economia di guerra è quella legata all’emergenza. Una fase che non è terminata, ma che è in esaurimento. Il governo Draghi, se e quando troverà una maggioranza, non potrà che occuparsi del dopo. Nel rapporto sulla ristrutturazione delle imprese dopo l’epidemia stilato dal Gruppo dei trenta, che ha animato il dibattito politico nel dicembre scorso, Draghi e altri economisti hanno sostenuto la necessità di utilizzare le risorse scarse in misure selettive, per evitare la creazione di “masse di imprese zombie”. La selezione, si spiegava nel documento del G30, potrà essere fatta dal pubblico in collaborazione con il privato, banche e settore finanziario, meno permeabile alle pressioni politiche rispetto ai governi. Un principio guida, che potrebbe portare a modificare il Recovery italiano già stilato dal governo Conte, frutto di compromessi politici tra ministri e nella maggioranza.
Il futuro nei giovani. Il Draghi presidente della Bce concentrava i pochi appelli ai governi (inascoltati in Italia) sulla necessità di accompagnare il Quantitative easing a riforme strutturali dell’economia decise a livello nazionale. Il Draghi post Francoforte preferisce sottolineare l’importanza dei giovani. Da sostenere non tanto con sussidi, che possono servire “a sopravvivere, a ripartire”. Ma che “finiranno e se non si è fatto niente resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri”. Con queste premesse, difficile che un governo Draghi mantenga il Reddito di cittadinanza, a meno che non cambi pelle.