Skip to main content

Roma è davvero capitale da 150 anni? No, e il prof. Caravita ci spiega perché

Nel giorno in cui ricorrono i 150 anni dalla proclamazione di Roma a capitale d’Italia, Formiche.net ha intervistato il costituzionalista Beniamino Caravita di Toritto: “Se dovesse davvero nascere nei prossimi giorni il cosiddetto governo dei migliori di cui si parla in queste ore, mi auguro che il tema della capitale rientri a pieno titolo nell’agenda politica del Paese. Sarebbe anche l’ora”

Esattamente 150 anni fa, il 3 febbraio del 1871, Roma venne proclamata capitale d’Italia. Un traguardo arrivato a pochi mesi di distanza dalla breccia di Porta Pia del 20 settembre del 1870, quando i bersaglieri entrarono nella città eterna e misero fine al potere temporale della Chiesa e allo Stato Pontificio. Quel processo, però, può in un certo senso considerarsi tutt’ora incompiuto. La capitale necessaria, di cui parlò anche Camillo Benso conte di Cavour, non è stata ancora definitivamente realizzata in fondo, perché da allora, ad eccezion fatta per il ventennio fascista, l’Italia non è riuscita ad assegnare a Roma uno status speciale, sulla falsariga di quanto avviene di regola in Europa e non solo.

“Si tratta di una questione sul tavolo da lunghissimo tempo, ma finora, purtroppo, non vi è stato alcun apprezzabile passo avanti”, ha affermato l’ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso il dipartimento di Scienze Politiche della Sapienza Beniamino Caravita di Toritto in questa conversazione con Formiche.net (qui un suo intervento sul nostro giornale). Il costituzionalista ha comunque lasciato intendere di sentirsi tiepidamente ottimista per il futuro: “Oltre il grave e generalizzato disagio dei cittadini di Roma, c’è la consapevolezza degli intellettuali, così come del mondo accademico, mi pare. Se dovesse davvero nascere nei prossimi giorni il cosiddetto governo dei migliori di cui si parla in queste ore, mi auguro che il tema Roma Capitale rientri a pieno titolo nell’agenda politica del Paese. Sarebbe anche l’ora”.

Un ritardo figlio di ragioni storiche, politiche e istituzionali che finora non ha consentito di mettere Roma nella condizione di svolgere pienamente il suo ruolo. “Certo che è giusto, che Roma debba avere un ordinamento giuridico peculiare è acclarato, condiviso e  inevitabile”, ha sottolineato il professor Caravita sulla base di una serie di considerazioni: “Ci sono cose che si dicono da sempre, al punto di essere quasi diventate banali. Ma è così. A Roma, solo per fare un esempio, ci sono quattro livelli di rappresentanze diplomatiche: presso lo Stato italiano, presso il Vaticano, presso la Fao e presso il Sovrano Militare Ordine di Malta. E poi è la sede delle istituzioni centrali ed è la città più vasta e popolata d’Italia. Tutto questo per dire che ci sono numerosissimi motivi”.

Ma perché a fronte di un’evidenza riconosciuta da molte, se non tutte, le forze politiche non solo di oggi, a Roma non sono state ancora riconosciute le funzioni e le risorse tipiche di ogni capitale? La spiegazione, com’è ovvio che sia, non è una sola. Intanto – ha ricordato Caravita – iniziamo con il dire che l’Assemblea Costituente neppure si pose il problema di prevedere per la città eterna uno status particolare: “Il timore all’epoca era che venissero rievocati i temi utilizzati dal regime fascista per rafforzare la sua collocazione politica e la sua narrazione”. Dunque, l’idea di Roma come capitale dell’impero, “con il modello del governatorato fascista nel quale l’autonomia della città risultava in realtà fortemente limitata vista la nomina del governatore da parte dell’esecutivo”.

E poi anche ragioni di carattere politico e istituzionale, tra cui il rapporto da instaurare con l’ex provincia di Roma divenuta nel frattempo città metropolitana e con la regione Lazio. Le frizioni con la quale hanno contribuito a causare l’affossamento dell’unico disegno organico di riforma dello status giuridico di Roma intervenuto dal secondo dopoguerra in poi. A partire dalla modifica del Titolo V della Costituzione decisa nel 2001: “In quell’occasione la questione entrò per la prima volta nella carta, nel nuovo articolo 114, che afferma come Roma sia la capitale d’Italia e il suo ordinamento debba essere disciplinato con legge dello Stato”.

Previsione cui seguì nel 2009, all’epoca dell’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi, l’approvazione della legge delega sul federalismo fiscale che mirava anche a dettare una disciplina di dettaglio con la previsione della possibilità di attribuire, appunto, maggiori funzioni e risorse a Roma. “Sulla base di quella legge vennero poi approvati due decreti legislativi – uno di carattere organizzativo e l’altro sui beni culturali – ma la parte più rilevante, che avrebbe dovuto comprendere fondi e poteri, non vide mai la luce”, ha ricordato Caravita, che poi ha raccontato pure le ragioni di quello stop: “Il processo fu bloccato dallo scontro tra Gianni Alemanno, allora sindaco della città, e Renata Polverini, che ricopriva il ruolo di presidente della regione Lazio, secondo la quale la concessione di maggiori poteri a Roma sarebbe dovuto avvenire attraverso una legge regionale”.

E da allora sostanzialmente non se ne fece più nulla. “Dietro quel contrasto, ovviamente, si celava la battaglia sull’attribuzione di maggiori poteri a Roma che, com’è inevitabile, avrebbe finito con lo svuotare in parte la regione Lazio”, ha affermato ancora il costituzionalista che in quel progetto si impegnò dal punto di vista giuridico in prima persona: “Arrivammo a scrivere i testi per il trasferimento delle funzioni a Roma capitale, fu un lavoro concreto di redazione di quello che chiamammo Turc – Testo unico di Roma Capitale – con cui avevamo individuato materia per materia le funzioni da trasferire. Per dire che si trattò di una riflessione molto seria, che arrivò molto avanti”.

Ma c’è di più, ad avviso di Caravita. La questione chiama in causa anche il potere che Roma dovrebbe accettare di cedere in virtù dei maggiori poteri che reclama: “Dobbiamo accettare l’idea che, se vogliamo risorse e funzioni in più in nome della dimensione di capitale, non possiamo evitare un coinvolgimento nell’autonomia comunale da parte dello Stato. Per fare un esempio, sui trasporti e sui rifiuti: dobbiamo consentire che questi servizi non siano gestiti esclusivamente all’interno dell’ambito del comune ma che vi siano un controllo e una gestione condivisa da parte degli apparati statali”.

Ma lo stesso potrebbe anche dirsi per le grandi opere infrastrutturali, come le linee della metropolitana, i collegamenti ferroviari o aeroportuali. Insomma, secondo il professore, “non si può chiedere risorse e funzioni extra e poi, al tempo stesso, rifiutare che vi sia una forma di gestione condivisa”. Ma ciò è difficile che accada, perché da una parte la politica locale ambisce ad avere più soldi e più potere mentre dall’altra non vuole che la propria sfera di influenza venga in alcun modo intaccata.

Ammissione a cui fa da corollario un altro aspetto nient’affatto secondario. Ossia, per dirla con le parole del costituzionalista, “il recupero di una dimensione di progettualità” che a Roma da troppo tempo ormai è latitante: “Il nuovo assetto istituzionale dovrebbe consentire di proiettare la città nel futuro, ai prossimi 150 anni da capitale d’Italia. Quello di Roma, certo, è un problema di risorse e di funzioni, ma alla base di tutto ci devono essere le idee sul modello di città che vogliamo, sulle direzioni che deve assumere il suo sviluppo, sulle modalità di gestione dei servizi, su come renderla più vivibile e eguale, su come porsi concretamente al servizio del paese”. Solo in questo modo – ha concluso Caravita – “potrà giungere definitivamente a compimento quel processo di costruzione dello Stato nel nostro Paese che risulta ancora incompleto”. Auguri.

×

Iscriviti alla newsletter