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Il voto su Rousseau sarà inutile o dannoso? Il mosaico di Fusi

Proprio adesso che ce ne sarebbe estremo bisogno visto che si affaccia una nuova proposta di grande spessore, il partito che ancora oggi è di maggioranza relativa in Parlamento diventa afasico, ondeggiante, incapace di risolvere i propri conflitti, e sceglie di scaricarli sulla collettività

Con un sussulto di ironia, ai responsi della piattaforma Rousseau si potrebbe applicare lo steso schema che Massimo D’Alema enunciava al povero Roberto Villetti quando lo incrociava in Transatlantico: “Voi socialisti, quando siete a favore risultate inutili. Quando contro, dannosi”.

Diventando seri, se il verdetto dell’oracolo digitale grillino sarà favorevole all’ex presidente Bce, il MoVimento rischia la scissione dei ribelli con in testa Di Battista. Se sarà negativo, l’M5S finirà spiaggiato sulle sue contraddizioni.

Nel frattempo, meglio tergiversare e rinviare la votazione. Così l’Elevato esporta sul nascituro esecutivo il peso dei contorcimenti interni della sua creatura politica. Non un bel servizio per il Paese ma tant’è: quando i problemi non vengono risolti si ripresentano aggrovigliati e a volte perfino irrisolvibili.

Il ricorso a Rousseau è l’ennesimo ricorso identitario di un agglomerato partito per cambiare l’Italia e finito in un vicolo cieco. Perché è proprio l’identità grillina ad essere evaporata e non può certo essere un algoritmo a farla ritrovare. L’abbaglio più grande – che peraltro ha affascinato milioni di elettori – è stato di presentarsi sulla scena politica con l’albagia di chi voleva azzerare storia e percorsi istituzionali. Più che il grido dell’onestà è stato quello di non essere “né di destra, né di sinistra” il mantra che ha contrassegnato le mosse dello stato maggiore pentastellato. Il paradosso è che indossando quei panni, il MoVimento si è spogliato proprio di identità e ora la va ricercando in un sussulto digitale che al contrario minaccia di sgretolarla definitivamente.

Fin dall’inizio nei Cinquestelle convivono anime e tensioni differenti, per molti aspetti addirittura contrapposti. La sintesi è stata il rifiuto di ogni appartenenza alle famiglie politiche europee e la guerra contro la Casta. Ma quel rifiuto ha privato il M5S di qualsiasi possibile ancoraggio ideale, sacrificandolo sull’altare di un fantomatico programma di governo da offrire a tutto e a tutti. L’idea di potersi indifferentemente alleare con la Lega e con il Pd ha squadernato una incoerenza di fondo che ha provocato un testacoda nel circuito politico-istituzionale. Soprattutto è stata la qualità di cui più l’Italia ha bisogno, cioè la governabilità in passaggi delicatissimi e a tratti perfino drammatici come ci ha insegnato la pandemia, ad andare in tilt.

Infatti la storia breve di questa metà di legislatura insegna che nessuna intesa programmatica e nessuna alleanza, seppur marchiata dallo stesso Timoniere a cinque stelle, è riuscita a sopravvivere alla prova di governo.

Il paradosso è che proprio adesso che ce ne sarebbe estremo bisogno visto che si affaccia una nuova e di grande spessore proposta, il partito che ancora oggi è di maggioranza relativa in Parlamento diventa afasico, ondeggiante sulle sue antinomie, incapace di risolvere i propri conflitti e non trovando di meglio che scaricarli sulla collettività. L’identità “né-né” è andata in frantumi e al suo posto non se ne è prodotta un’altra. La scelta è quella del rinvio: che è una non scelta, ammantata di aspetti surreali come la giustificazione apportata da Grillo di dover attendere che Draghi “si chiarisca le idee”. La realtà è che il professore incaricato le idee le ha molto chiare: sono i suoi interlocutori pentastellati ad essere andati in confusione.

Adesso si apre una voragine di credibilità. Se l’ex governatore aspetta gli aruspici grillini, finisce impaniato e a rimorchio delle loro malmostosità. Se li tralascia, può venirgli meno un fondamentale sostegno politico-parlamentare. Davvero non un bello spettacolo.


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