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Può il governo Draghi passare da Rousseau? M5S e la democrazia diretta

Io credo molto nella democrazia elettronica, ma penso anche che occorra ancora affinarne tempi e modalità, forse anche con un intervento generale del Legislatore che ne garantisca accesso, partecipazione e sicurezza, per tutti. I dubbi di Alfonso Celotto

“La sovranità non può essere rappresentata per la medesima ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta”. In questa famosa frase del Contratto sociale c’è tutta la propensione di Rousseau per la democrazia diretta. Quella della Antica Grecia, dove tutti partecipavano direttamente. Anche se forse la vera democrazia diretta non è mai esistita. Tanto che ad Atene non votavano certo tutti: nemmeno Aristotele aveva mai pensato che donne, stranieri e schiavi potessero partecipare alla Assemblea.

Del resto nei grandi Stati la democrazia diretta non può che essere residuale. “Il popolo faccia mediante i suoi rappresentanti ciò che non può fare da sé”, ci ha insegnato Montesquieu. Allora, Montesquieu oppure Rousseau?

Forse vi chiederete cosa c’entra questo “riassunto” di filosofia della politica con l’ennesima chiamata del M5S al voto su Rousseau per capire se appoggiare il governo Draghi. Sappiamo che le moderne democrazie sono soprattutto rappresentative, facendo prendere agli eletti le decisioni fondamentali di governo e chiamando il popolo a esprimersi in casi limitati (soprattutto i referendum). Ma sappiamo che da decenni, con l’impallidirsi del ruolo dei partiti, la rappresentatività sta diventando sempre meno solida. Occorrono nuove forme di partecipazione diretta, che facciamo recuperare al popolo il proprio ruolo sovrano.

Ovviamente, con lo sviluppo della tecnica e dei mezzi di comunicazione, le nuove forme di democrazia diretta non possono che essere elettroniche. Del resto, ormai computer e telefonini sono “appendici” elettroniche della nostra persona e non possiamo che interagire anche in politica con questi strumenti. Ma proprio il caso della piattaforma Rousseau per il Movimento 5 Stelle ci mostra tutta la difficoltà delle forme di democrazia elettronica.

Innanzitutto, c’è la questione su chi può votare. Sappiamo che in Italia gli elettori sono oltre 46 milioni e il Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche di marzo 2018 ha ricevuto quasi 11 milioni di voti. Eppure, sulla piattaforma Rousseau votano poche decine di migliaia di iscritti, per tutta una serie di regole interne al Movimento. Si pensi che al voto sull’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti hanno votato poco più di 52.000 utenti. Mentre al referendum sul governo con il Pd, hanno votato 79.000 iscritti.

Ma è una vera forma di democrazia elettronica se vota circa lo 0,1 per cento dei potenziali aventi diritto?

Ci sono poi da considerare i tempi del voto. La attuale crisi di governo è aperta da circa un mese giorni e Mario Draghi ha ricevuto l’incarico mercoledì scorso. È giusto che si voti solo giovedì sulla volontà del “popolo” 5 Stelle circa il nuovo governo Draghi? O sarebbe stato più opportuno un voto precedente? Senza considerare tutte le perplessità sulla trasparenza e la sicurezza di questo voto. Ma si potrebbe anche replicare che in fondo questa è una forma di democrazia elettronica di un partito, anzi di un Movimento, e come tale è il Movimento stesso a sceglierne le regole.

Io credo molto nella democrazia elettronica, ma penso anche che occorra ancora affinarne tempi e modalità, forse anche con un intervento generale del Legislatore che ne garantisca accesso, partecipazione e sicurezza, per tutti.



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