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Serraj in ospedale a Roma, in Libia si muove la politica interna

Il leader libico passa il testimone al suo vice per ragioni di salute. L’incarico a Maiteeg serve per traghettare la Libia verso il nuovo governo (votato con l’Onu) ma ci sono dei problemi…

Con la consegna dell’incarico di presidente del Consiglio presidenziale al suo vice, Ahmed Maiteeg, Fayez al Serraj finisce il mandato di guida dell’autorità statuale libica che l’Onu creò nel 2015 con l’intento di trovare una riunificazione/rappacificazione nel Paese. Le ultime notizie danno Serraj in ospedale a Roma, dove ha subito un intervento chirurgico durato cinque ore (il leader libico da tempo ha problemi di salute che sta curando nella capitale italiana). Maiteeg ha ricevuto il testimone domenica 14 febbraio col compito di guidare l’attuale fase di transizione che vede la nuova autorità esecutiva composta dall’accoppiata presidente-premier (più i due vice) uscita dal Foro di dialogo, processo pure questo condotto dall’Onu e tenutosi a Ginevra. Martedì 16 febbraio, il presidente eletto,  Mohammed Al Manfi, e il primo ministro, Abdul Hamid Mohammed Dbeiba, dovrebbero teoricamente ricevere il voto parlamentare dell’HoR — la camera libica che dal 2014 s’è auto-esiliata a Tobruk, nell’Est. Un primo tentativo secondo una transizione ordinata del potere — che secondo fonti di Formiche.net in questo momento trova una forte pressione statunitense — che dovrebbe garantire alla Libia la stabilità per potersi dirigere alle elezioni del 24 dicembre, convocate dalle Nazioni Unite nell’ambito del processo negoziale attuale.

Si scrive “teoricamente” e si parla di primo tentativo, però: innanzitutto perché l’esperienza insegna che ottenere la fiducia dall’HoR è stato ciò che in questi sei anni è mancato a Serraj per completare il percorso onusiano per cui era stato di fatto incaricato. Serraj non ha mai trovato l’approvazione della Cirenaica, che invece ha un peso importante all’interno dell’assemblea legislativa — l’ultima eletta con votazioni popolari, e per questo formalmente riconosciuta dalla Comunità internazionale. Il presidente dell’HoR è ancora Agila Saleh: un politico di Tobruk che ha connessioni con l’Egitto; ha sponsorizzato le ambizioni militariste del ribelle dell’Est, il signore della guerra Khalifa Haftar; ha partecipato alle elezioni onusiane di questo mese, dalle quali è uscito sorprendentemente sconfitto nonostante godesse dell’appoggio più o meno esplicito del Cairo, della Russia, in parte della Turchia e dell’Ue, e la sua liste fosse considerata come la più strutturata da parte delle Nazioni Unite — visto che coinvolgeva come candidato premier l’ex ministro dell’Interno Fathi Bashaga, attore politico forte di Misurata.

La premessa ampia diventa fondamentale per comprendere come il rischio stallo sia attuale. Saleh oggi, lunedì 15, ha convocato l’assise dell’HoR nella sede istituzionale di Tobruk, mentre altri parlamentari avversari si stanno riunendo a Sabratha, in Tripolitania. Sono quest’ultimi che hanno intenzione di procede con la votazione per la fiducia politica al nuovo governo (e presidente). Qui però i problemi sono di diversi ordini: innanzitutto è difficile che riescano a raggiungere il quorum per il voto, dunque c’è una questione tecnica; e poi c’è da considerare che nel piano dei riuniti c’è anche di votare per la sostituzione del presidente, aspetto politico — anche per questo alcuni esponenti dell’Est scontenti di Saleh hanno deciso di prendere parte alla riunione. La spaccatura è netta e subisce anche il peso di altre posizioni: Haftar ha un atteggiamento freddo, e sembra non partecipare a queste dinamiche; Bashaga ha preso una posizione ambigua, dichiarandosi pronto al dialogo per poi non muoversi oltre però; alcuni player politici tripolini (che non sono formalmente rappresentati tra i vincitori del nuovo governo) hanno pesantemente criticato la visita del nuovo presidente al Manfi a Bengasi, dove ha visto Haftar nei giorni scorsi.

C’è tempo fino al 19 marzo per ottenere la fiducia politica, le dinamiche potrebbero anche incastrarsi positivamente, ma i rischi al momento sono evidenti. Tanto più se si considera che molti attori esterni hanno una posizione attendista perché temono che i propri interessi finiscano compromessi con i nuovi passaggi. Il problema principale è che l’assenza di un avallo politico al governo entrante possa portarsi dietro uno stallo come quello subito per anni da Serraj. Per evitare questo è previsto un meccanismo per portare la fiducia politica sul tavolo dei membri del Foro di dialogo, ma il rischio ulteriore è che in quel caso si inneschi una questione di legittimità.


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