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Tap, Tanap e Eastmed. I gioielli della Grecia e gli appetiti di Erdogan

Terzo ed ultimo focus sull’Egeo, con il dossier energetico in evidenza. Il contemporaneo passaggio di tre gasdotti come Tap, Tanap e Eastmed fa del Paese un nuovo player e spinge anche per una corsa al riarmo. Il ruolo di Israele e Germania, la riunificazione di Cipro, l’occhio americano

Perché la Grecia è diventata strategica nel dossier energetico che riguarda i nuovi giacimenti, dopo essere il nuovo orizzonte per investimenti internazionali di peso? Da quale prospettiva muove Ankara nella contrapposizione con Atene, che si è fatta pericolosissima?

Il Paese guidato oggi dal premier Kyriakos Mitsotakis ha voluto emulare le mosse di Israele e Cipro che, nell’ultimo lustro, hanno svoltato alla voce riserve offshore. Proprio il jolly pescato da Cipro nei ricchi giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale hanno risvegliato gli appetiti turchi, scoprendo il nervo rappresentato da tensioni di lunga data sulla giurisdizione offshore con la Turchia, che rifiuta leggi e trattati come la Convenzione di Montego Bay. Le debolezze decisionali dell’Ue e i rapporti di altri players con Erdogan non aiutano però a sbrogliare il puzzle.

STRATEGIA

L’ultima concessione risale al 2019: ExxonMobil e Total si sono aggiudicate le licenze per cercare idrocarburi al largo dell’isola di Creta. Non sono sole, ma in consorzio con Hellenic Petroleum, e hanno una licenza di ricerca e sfruttamento di otto anni in due blocchi offshore situati a sud e sud-ovest di Creta. Entro il 2021 si avranno i primi riscontri sui 40.000 chilometri quadrati di territorio praticamente inesplorato. Quell’accordo, di fatto, ha segnato il primo utilizzo da parte della Grecia della propria zona economica esclusiva.

La Grecia da tempo ha mutato la propria densità nel dossier energetico per via del contemporaneo passaggio di tre gasdotti: Tap (operativo), Tanap (verso i Balcani) e quando sarà ultimato Eastmed (da Israele al Salento). Tre direttrici di marcia che comportano per il Paese una differente percezione non solo alla voce energia, ma anche per quanto concerne difesa e geopolitica. La consapevolezza che il corridoio meridionale del gas rappresenti un risultato tecnologico e diplomatico impressionante (come lo ha definito l’Ambasciata americana a Baku) è il punto di partenza per comprendere come gli scenari nell’Egeo siano stati completamente stravolti dalle pipeline, intrecciandosi con altre partite come le infrastrutture e le privatizzazioni, solo apparantemente staccate da questo ragionamento.

PIPELINE

La Trans Adriatic Pipeline ha preso avvio lo scorso 31 dicembre quando i primi flussi di gas sono partiti dall’Azerbaijan. Il primo gas è arrivato in Grecia e Bulgaria, tramite il punto di interconnessione di Nea Mesimvria con Desfa, così come in Italia, tramite il punto di interconnessione di Melendugno con Snam Rete Gas. Tap trasporta gas naturale dall’imponente giacimento di Shah Deniz all’Europa lungo 878 km e si collega anche con il Trans Anatolian Pipeline (Tanap) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia e l’Albania e il mare Adriatico, prima di approdare nell’Italia meridionale.

L’operatore greco della rete del gas Desfa è posseduto al 66% da un consorzio guidato dall’italiana Snam. Il player italiano ci ha visto lungo, considerato che Desfa ha in pancia una rete di trasporto ad alta pressione di quasi 1.500 km e un terminale di rigassificazione a Revithoussa, un isolotto a 45 km da Atene. Un passaggio rilevante perché il terminale è uno dei ventotto che operano oggi nella più ampia regione del Mediterraneo e in Europa ed è l’unico in Grecia che, non solo riceve carichi di Gnl, ma li immagazzina e rigassifica temporaneamente Gnl con una capacità di stoccaggio di 225.000 metri cubi.

Inoltre Eastmed fa rima con Emgf, la nuova Opec del gas creata attorno a Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Italia, Giordania e Palestina. Nata come organismo internazionale nel gennaio 2020 con sede al Cairo, al momento necessita di contenuti, indirizzi e strategie per non restare un contenitore e basta. Proprio la spinta dei singoli paesi, implementata dai riverberi di iniziative e azioni nella macro regione, potrà rappresentare il propellente necessario per fargli acqisire un ruolo non di mera rappresentanza formale.

Il ruolo di Israele in questa partita è sempre più significativo. Da pochi giorni Chevron, Delek e i relativi partner nei giacimenti di gas israeliani Leviathan e Tamar, hanno raggiunto un accordo per investire 235 milioni di dollari in un nuovo gasdotto sottomarino, ampliando le strutture esistenti. Il gasdotto collegherà le strutture della città israeliana di Ashdod al gasdotto del Mediterraneo orientale ad Ashkelon, consentendo a Chevron e ai suoi partner di aumentare le esportazioni di gas in Egitto fino a 7 miliardi di metri cubi all’anno. I players citati già nel 2020 avevano siglato accordi per esportare fino a 85 miliardi di metri cubi all’anno in Egitto per un periodo di 15 anni.

GAS E CONFLITTI

È alla luce di tale scenario che il governo turco, al fine di non rimanere tagliato fuori dalla partita, pur non avendo alcun appiglio in leggi e trattati internazionali, tenta con ogni mezzo di rivendicare competenze in quelle acque per accaparrarsi il gas. Di fatto è stato innescato un lunghissimo braccio di ferro con la Grecia, che comprende l’atavica questione della mancata riunificazione di Cipro, l’isola nel 1974 fu interessata da un tentato colpo di stato ellenico, a cui la Turchia rispose con i bombardamenti sull’isola e l’invasione da parte di 50mila milutari che ne occuparono la parte settentrionale. In questi anni Cipro è diventata membro dell’Ue mentre nella Katekomena a nord sono rimasti i militari turchi, con tutte le conseguenze diplomatiche del caso.

Un mese fa Grecia e Turchia sono tornate dopo molti anni a sedere allo stesso tavolo per provare a ravvivare il dialogo: il primo approccio, però, è stato più frutto dell‘invito di Berlino a riallacciare i fili che di una reale intenzione delle parti. Gli F-16 turchi infatti sconfinano quotidianamente nei cieli ellenici sulle isole contese, i droni turchi sono una presenza costante e imbarazzante per un membro della Nato e la scorsa estate si è stati molto vicini ad un incidente tra le due forze armate, con un episodio gravissimo (mai ammesso dalle parti): un sommergibile turco giunto provocatoriamente nei pressi della costa ateniese di Capo Sounio, poi messo in fuga dagli elicotteri ellenici. Fatti che hanno innescato una corsa al riarmo. La Germania ha venduto alcuni sommergibili alla Turchia e la Francia 18 caccia Rafale alla Grecia. Il risiko è servito.

twitter@FDepalo

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