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Catricalà, un fuoriclasse col sorriso. Il ricordo di Tivelli

Con Catricalà ci lascia una grande personalità con dei vivi e permanenti tratti di umanità che chiunque lo abbia conosciuto conserva con sé, con quel sorriso sempre aperto e pronto e con quella naturale velocità e disponibilità al problem solving purtroppo abbastanza rara anche nel mondo dei civil servant

La tragica scomparsa stamane di Antonio Catricalà ha lasciato un grande vuoto nei tanti cittadini dentro e fuori i palazzi del potere che lo hanno conosciuto, apprezzato e stimato. 69 anni, nato a Catanzaro, che non a caso aveva trovato un posto rilevante nel mio libro “Chi è stato? Gli uomini che fanno funzionare l’Italia” (Rubettino), era sempre stato un fuoriclasse. Vincitore del concorso per magistrato ordinario a 24 anni, avvocato dello Stato a 27 anni e consigliere di Stato alla tenera età di 30 anni: sempre passando attraverso le forche caudine di concorsi seri e rigorosi.

Era poi stato uno degli allievi migliori della covata di tanti giovani legisti allevata nell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi da Giuliano Amato e Nino Freni e poi, con quella “trasversalità” che dovrebbe essere propria dei veri buoni civil servant aveva operato indifferentemente come capo di gabinetto al servizio di ministri di centro-sinistra e centro-destra. Il meglio di sé lo aveva dato da segretario generale della presidenza del Consiglio, lavorando in una coppia affiatatissima con il sottosegretario Gianni Letta, riuscendo a mantenere sempre quelle sue caratteristiche di vitalità, velocità di reazione, solarità, e capacità di sorridere nonostante l’intensità dell’impegno coprisse l’arco lungo della giornata.

Avevo rapporti frequenti con lui sia quando ero capo di gabinetto sia quando lavorammo insieme nello staff di Antonio Maccanico, lui capo di gabinetto ed io consigliere giuridico e portavoce e porto ancora il ricordo di quella splendida atmosfera che grazie alla grande signorilità di Maccanico e allo spirito sempre rilassato, disteso e sorridente di Catricalà c’era in quegli uffici.

Nel frattempo lui, pur Presidente di sezione del Consiglio di Stato, che come tale dovrebbe maneggiare soprattutto il diritto amministrativo, amava coltivare e insegnare il diritto civile, che secondo lui era il diritto per eccellenza e ha contribuito a formare varie leve di giovani candidati al concorso per la magistratura, sino ad assumere successivamente una cattedra di diritto civile.

C’era poi stata l’esperienza di vice ministro delle attività produttive che aveva interpretato con quel senso del servizio allo stato e con quello “spirito repubblicano” che gli era proprio e che gli veniva dalla tradizione di famiglia di un padre avvocato che era stato tra i fondatori del partito repubblicano in Calabria.

Non va poi dimenticata la luminosa esperienza precedente di Presidente dell’Antitrust in cui si caratterizzò per l’apertura delle autorità per la concorrenza ai cittadini, ai consumatori e alle loro istanze, oltre che per una serie di pronunce emblematiche. L’ultima volta che lo incontrai, alcuni mesi fa, mi disse di essere soddisfatto perché la sua vita professionale si alternava fra tre passioni: il diritto civile, insegnato agli studenti, quello praticato insieme al diritto amministrativo di un grosso studio di avvocati di cui era co-titolare e la presidenza di una società seria e ben gestita come Aeroporti di Roma.

Con Antonio Catricalà ci lascia una grande personalità con dei vivi e permanenti tratti di umanità che chiunque lo abbia conosciuto conserva con sé, con quel sorriso sempre aperto e pronto e con quella naturale velocità e disponibilità al problem solving purtroppo abbastanza rara anche nel mondo dei civil servant, salvo nei pochi migliori (come erano ad esempio a suo tempo in una generazione precedente Andrea Monorchio e Corrado Calabrò), e che dovrebbe essere invece un tratto essenziale del servizio allo Stato.

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