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La montagna ferita e le azioni del governo. Parla Marina Lalli (Federturismo)

Il presidente di Federturismo: dal governo un comportamento assurdo e folle, le imprese del turismo invernale erano pronte e organizzate. La stagione è da buttare, dieci miliardi persi. Ora altro che ristori, servono risarcimenti

Quando si cade sugli sci, a volte ci si fa male, altre volte è solo un brutto spavento. Questa volta vale la prima ipotesi. La piroetta del governo sull’apertura delle piste da sci ha fatto fare un bel capitombolo agli imprenditori della montagna: albergatori, gestori di impianti di risalita, titolari di chalet. Oltre a un esercito di lavoratori, dai maestri di sci ai dipendenti degli hotel, cuochi e addetti alla pulizia in testa.

Attività che nel loro insieme generano un giro d’affari tra 10 e 12 miliardi di euro all’anno, grazie all’impiego di 120mila persone, 400mila se si considera l’indotto. Di questi, 15mila lavorano nei circa 2mila impianti di risalita della montagna italiana. Ma poi ci sono i negozi che noleggiano le attrezzature, le guide, gli addetti alla manutenzione delle piste. Tutto questo spazzato via con una circolare del governo, arrivata a pochi minuti dal primo giro di seggiovia, quando migliaia di skipass erano stati venduti.

Da qui il primo battibecco all’interno del neonato governo, tra il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, che ha quantificato in 4,5 miliardi il costo dello stop fino al 5 marzo, e il riconfermato titolare della Salute, Roberto Speranza. E anche la rabbia delle imprese, che si sono sentite prese in giro, come spiega a Formiche.net Marina Lalli, presidente di Federturismo, l’associazione di categoria in seno a Confindustria.

Lalli, il governo la chiama proroga ma voi la vivete come il colpo di grazia al turismo italiano della neve, di fatto mai partito quest’anno.

Il turismo montano invernale è praticamente azzerato. Non siamo mai partiti e dire che si possa partire il 5 di marzo sembra una presa in giro. Non so quanti italiani possano essere interessati alla montagna il 5 marzo. Dunque quest’anno non si lavora. Ecco come stanno le cose.

Le imprese hanno accusato il governo di scarso rispetto verso i lavoratori della montagna…

La decisione arrivata in extremis di posticipare l’apertura degli impianti sciistici al 5 marzo non è rispettosa nei confronti di tanti imprenditori, lavoratori e turisti, su questo non ci piove. E dimostra essenzialmente una cosa: non conoscere il lavoro propedeutico ad una riapertura annunciata ormai da settimane e non riconoscere lo sforzo di chi ha sempre lavorato nel rispetto delle regole, investendo in protocolli di sicurezza e che, fidandosi delle disposizioni ricevute, era pronto a ripartire ma invece è stato nuovamente bloccato.

Il ministro Speranza ha detto che la salute viene prima di tutto. Difficile dargli torto, però è anche vero che senza lavoro non si mangia né tanto meno ci si cura, da altri mali. Dov’è il punto di caduta?

Vorrei chiarire che noi imprenditori fino ad oggi siamo stati molto comprensivi verso l’emergenza sanitaria. Ma adesso comincia ad essere troppo, abbiamo sopportato tutte le spese di apertura e mentre stavamo con la chiave nella toppa dell’hotel, ci hanno fermato. A rendere ancora più assurdo tutto questo sono anche i vaccini.

Che intende dire?

Si poteva benissimo pensare di dare a chi voleva partire per la montagna un patentino di vaccinazione. Chi si vaccinava partiva e lo dimostrava, così i contagi sulla neve sarebbero stati pressoché inesistenti. Capisce che così si penalizza solo un settore vitale per l’economia nazionale, senza combattere davvero il virus?

In zona gialla si poteva andare al ristorante, ma non sulla neve, all’aria aperta. Non lo trova un po’ un controsenso?

Sì perché è tutta una questione di regole. I ristoratori hanno preso precauzioni, e anche gli imprenditori turistici. Solo che i primi hanno potuto lavorare qualche giorno, noi no. Qualcuno mi spiega perché rispettare le regole basta solo per certe categorie e non per lo sci? Una volta arrivati sulle piste, il distanziamento sarebbe stato garantito. Noi eravamo pronti, con tanto di protocollo. Non è servito.

A questo punto più che ristori servirebbero risarcimenti. Sbaglio?

Lo credo bene, ci auguriamo che ci siano ristori e anche adeguati come è stato promesso. Gli indennizzi devono avere la priorità assoluta e devono essere contemplati già nel prossimo decreto, ma quello che rimane intollerabile è un cambio di programma dell’ultima ora.

Lalli, la stagione è perduta?

Sì, non è stato possibile lavorare. Ora il governo deve darci quello che ci spetta. Lei lo sa quanto costa la manutenzione degli impianti e il gasolio?



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