Dove porta l'”autonomia strategica” sbandierata dall’Ue di von der Leyen? Può convivere con l'”alleanza delle democrazie” lanciata da Joe Biden? E fra Russia e Cina chi ci guadagna di più? Le risposte degli esperti in un report dell’Istituto affari internazionali (Iai) presentato insieme alla direttrice Nathalie Tocci
Una “guerra di parole” rischia di incrinare i rapporti fra Stati Uniti e Ue. Cosa significa “autonomia strategica” europea? È una domanda che da mesi si fa spazio a Washington DC. L’espressione è apparsa per la prima volta nella “Global strategy Ue”, il documento programmatico stilato dall’Unione nel 2016 all’indomani della Brexit. Inizialmente confinata all’ambito militare, è diventata nell’ultimo anno lo slogan-manifesto della Commissione Ue di Ursula von der Leyen.
Oggi a Bruxelles si parla di “autonomia strategica” sul fronte tecnologico e quello della sicurezza, per il commercio e la politica estera, la sanità e lo sviluppo sostenibile. Un perimetro tanto ampio da insinuare un dubbio nel principale alleato del blocco, gli Stati Uniti. Non sarà che dietro la sbandierata “autonomia” si cela la tentazione di imboccare una “terza via” nella “Guerra Fredda” fra Stati Uniti, Cina e Russia?
A questa domanda prova a dare una risposta un recente rapporto dello Iai (Istituto affari internazionali), “European Strategic Autonomy: What It Is, Why We Need It, How to Achieve It”, firmato dalla direttrice Nathalie Tocci, consigliera dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza Ue Josep Borrell (e prima di Federica Mogherini).
Il bilancio è chiaroscurale. E verte su una sola certezza, “che dovremmo concentrarci più sull’azione e meno sulle parole”, spiega Tocci durante l’evento di presentazione del rapporto, moderato dal reporter del New York Times Steven Erlanger. Il dibattito sull’ “autonomia strategica”, scrive Tocci nella premessa del documento, è indubbiamente figlio di una crisi di sfiducia fra Stati Uniti e Ue che ha radici profonde e ha toccato il fondo con la presidenza Trump. E con una pandemia che ha interrotto le catene del valore globali e messo a nudo la fragilità e la dipendenza dall’esterno del sistema-Ue.
Ma la ricerca di una via europea è anche una risposta al sistema delle sanzioni secondarie che, tanto con Trump quanto con Biden, fa da architrave della politica estera americana, colpendo al tempo stesso rivali, partner e alleati, come dimostra l’ultimo pacchetto di misure contro il gasdotto russo North Stream II. Ovvero a una forma di “eccezionalismo” della diplomazia a stelle e strisce che attraversa indistintamente le amministrazioni repubblicane e democratiche e mette alla prova la coesione degli Stati europei. D’altra parte, fanno notare dagli Stati Uniti, come può “l’autonomia strategica” europea conciliarsi con “l’alleanza delle democrazie” lanciata da Joe Biden per confrontare due potenze, Russia e Cina, che pure l’Ue definisce “rivali sistemici”?
Delle due l’una, chiosa Nicholas Burns, professore di Relazioni internazionali alla Harvard Kennedy School, una lunga e decorata carriera diplomatica fra Dipartimento di Stato e Casa Bianca. “Gli Stati Uniti hanno bisogno di un’Ue più forte. Ma a Washington DC c’è anche un consenso bipartisan sull’esigenza di un’alleanza fra democrazie per competere con Russia e Cina. Suggerisco di mettere da parte il dibattito sulle parole e costruire un asse con i partner naturali dell’Ue, a cominciare da Stati Uniti, Canada e alleati del Pacifico come il Giappone”.
La stessa amministrazione Biden non fa mistero dei suoi dubbi sulla rotta europea. Se “autonomia strategica” significa siglare un maxi-accordo sugli investimenti fra Ue e Cina, il CAI, senza prima consultare l’alleato americano, i pronostici non sono dei migliori, “gradiremmo un consulto preventivo”, ha mugugnato all’indomani della firma lo scorso novembre il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan.
Le distanze sono emerse durante la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di febbraio cui hanno preso parte, fra gli altri, Biden, Angela Merkel ed Emmanuel Macron. “L’Europa non può svegliarsi autonoma domattina – commenta il presidente della Conferenza, Wolfgang Ischinger – anni fa tornata da un vertice con Trump, Merkel ha detto che l’Europa deve ‘prendere il destino nelle sue mani’, dobbiamo evitare di essere fraintesi. Non si può ignorare il problema delle sanzioni secondarie. Bisogna però tradurre l’ambizione di diventare autonomi in fatti concreti, come aumentando gli investimenti nella Difesa e nella Nato, o modificando il sistema di voto per una politica estera europea che oggi è miserabile, sottoposta ai veti incrociati”.
Autonomia, insomma, vuol dire anzitutto responsabilità. “Penso alla sicurezza. Un’Ue autonoma deve prendersi più responsabilità e definire meglio i suoi obiettivi strategici, dall’Africa subsahariana al Mediterraneo orientale – dice Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento Ue dei Cinque Stelle – autonomia non significa autarchia, né deve portare a un deterioramento dei legami transatlantici”. Gli fa eco Sylvie Kauffmann, direttrice editoriale di Le Monde: “Trump e la pandemia hanno accelerato questo processo. Ora Stati Uniti ed Ue devono fare entrambi la loro parte. I primi spiegando agli europei cosa significa “burden sharing”. Vengono condivise anche le decisioni o soltanto il “fardello”? L’articolo 5 della Nato non può rimanere sulla carta”.
Sullo sfondo del dibattito europeo, un dubbio che attanaglia il mondo diplomatico americano: Russia e Cina tifano per un’Ue più autonoma, cioè libera di prendere decisioni strategiche, dalla tecnologia all’export, senza un semaforo verde da Washington DC? La realtà è più complessa, spiegano i relatori del panel Iai. “La Cina supporta l’integrità europea e il suo ruolo negli affari internazionali – nota Fu Ying, presidente della Commissione Esteri del Congresso nazionale del popolo cinese e già viceministro degli Esteri – credo che l’autonomia strategica sia una risposta comprensibile ai cambiamenti internazionali”. Fu richiama una narrazione che ha preso il largo nella comunicazione della diplomazia cinese, con un continuo elogio del “multilateralismo” europeo inteso come via d’uscita dalla logica dei “blocchi” americana.
“La posizione russa è controversa, a tratti schizofrenica – nota invece Andrej Kortunov, Direttore generale del Consiglio affari internazionali russo – da una parte Mosca supporta qualsiasi movimento dell’Ue verso l’autonomia: solo un’Ue autonoma può bloccare le sanzioni extraterritoriali americane e fare le sue scelte in Libia o in Siria”. C’è un ma: “Per il Cremlino è più facile fare i conti con i singoli Stati europei. L’idea di interagire con un’Ue che parla a una sola voce non entusiasma neanche un po’”.