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A che punto è l’Ue? Dal Consiglio europeo la risposta. Scrive Balducci

La vicenda dei vaccini è comunque utile per capire a che punto si trovi il processo di costruzione dell’Europa. Per questo bisognerebbe fare attenzione ai risultati di questo Consiglio europeo. Il commento di Massimo Balducci

Il 25 e il 26 marzo ha luogo un Consiglio europeo che sta attirando l’attenzione dell’opinione pubblica più di quanto non succeda usualmente. Anche se a questo Consiglio parteciperà anche il presidente Usa, Jeo Biden, l’attenzione è concentrata, con una certa vis polemica, sul tema dei vaccini anti Covid 19 e sui problemi relativi che sembrano essere collegabili alla Commissione. L’occasione ci sembra opportuna per mettere a punto alcune cose ovvie e per evidenziare una serie di opinioni non corrette, da tener presenti nei prossimi mesi durante i quali si svilupperanno i lavori della Conferenza sul futuro della Ue.

Innanzitutto va evidenziato che la Ue non ha un apparato amministrativo (tutte le istituzioni europee messe insieme cubano più o meno lo stesso numero di dipendenti del Comune di Roma, compresi 10 mila tra traduttori e interpreti). L’esecuzione della normativa Ue spetta alle amministrazioni nazionali. A partire dalla fine degli anni ‘80, per garantire una esecuzione coordinata delle varie norme Ue, si sono venuti affermando dei comitati di funzionari nazionali che elaborano dei regolamenti applicativi ad hoc.

La Commissione Ue si è fatta carico della negoziazione con big pharma su mandato degli Stati Membri. E questo mandato è del tutto eccezionale. Si basa sull’art 222 del Trattato sulla Ue che prevede una clausola di solidarietà in caso di eventi particolari. Tale clausola, che sembra essere stata pensata sopra tutto per eventi legati al terrorismo, è stata invocata da Francia (su suggerimento della fondazione Delors diretta da Enrico Letta) e Germania per far fronte alla pandemia da covid 19.
Qui va fatta una ulteriore specificazione. A partire da Maastricht la UE non è regolata da un solo trattato ma da due trattati.

Quello che viene impropriamente chiamato Trattato di Lisbona in effetti sono due trattati: uno, detto Trattato sull’Unione, che ha la caratteristica di prevedere norme approvabili solo all’unanimità degli Stati Membri e che non prevede nessuna sanzione nel caso uno Stato Membro non rispetti queste norme; un secondo trattato, chiamato Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, che prevede norme approvabili a maggioranza (ogni Stato membro ha un peso determinato dai suoi abitanti), norme che danno luogo a sanzioni finanziarie significative in caso di mancato rispetto. Quindi la clausola di solidarietà sulla base della quale si è attivata la procedura dei contratti relativamente ai vaccini, fa riferimento ad una norma non giuridicamente vincolante.

Questa schizofrenia risale al Trattato di Maastricht che prevedeva una progressiva “communitarizzazione” delle materie contenute nel Trattato sull’Unione, nella prospettiva che, alla fine del processo, tutta l’autorità degli Stati Membri sarebbe stata trasferita, in ultima analisi, al livello della Ue. La sopravvivenza di questa schizofrenia è dovuta al fatto che nel 2004 la Francia e l’Olanda bocciarono il Trattato sull’Unione Europea, alla cui stesura aveva sostanzialmente lavorato Giscard d’Estaigne e che era stato sottoscritto da tutti gli Stati Membri a Roma e che avrebbe dovuto, pomposamente, rappresentare la”Costituzione” dell’Europa.
La prima cosa da ribadire è che la sovranità Statale non viene messa in discussione dalle istituzioni europee. Nemmeno, ovviamente, nel caso dei contratti relativi ai vaccini. Gli Stati Membri, sulla base dell’art 222 del Trattato sull’Unione (quello che produce atti non realmente vincolanti) hanno mantenuto ovviamente la libertà di acquistare vaccini anche direttamente. Si tratta solo di valutare se sia conveniente.

La vicenda dei vaccini è comunque utile per capire a che punto si trovi il processo di costruzione dell’Europa. Sì perché quella europea non è una architettura completata ma è una costruzione in fieri. Come dichiarato apertamente da Schumann in occasione della firma del Trattato Ceca (comunità europea carbone e acciaio), la costruzione europea ha inizio su spinta degli alleati vincitori della seconda guerra mondiale per evitare che scoppiasse una terza guerra mondiale, laddove si dava per scontato che le prime due guerre fossero scoppiate per la lotta tra Francia e Germania per il controllo delle risorse minerarie (carbone e acciaio) del bacino del Reno.

Ai suoi inizi l’architettura europea si basa su tre agenzie: oltre alla Ceca abbiamo il Mercato Comune Europeo (Mec) e l’Euratom (nato su un grant americano per favorire la produzione di energia derivata dal nucleare proprio per disinnescare la competizione sul carbone). Questa costruzione stabile si mette in moto da sola e comincia a spostarsi in avanti. Due sono i motori. Da una parte la Corte di Giustizia e, in generale i giuristi europei. Ci si rende conto che non solo non avrebbe senso farsi una ulteriore guerra ma che abbiamo in comune lo stesso patrimonio giuridico e di valori, condensati nel diritto romano-germanico.

Da un’altra parte alla fine degli anni ‘80 ci si rende conto che abbiamo bisogno disperato di un mercato interno (non più comune) su cui poter scaricare i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e processi produttivi. Visto l’aumentata velocità dello sviluppo scientifico e tecnologico i mercati dei singoli Stati Membri (che cubavano sui 50 milioni di consumatori) non bastava più. Era indispensabile creare un mercato interno di dimensioni adeguate, senza il quale ogni singolo stato sarebbe stato inghiottito dalle multinazionali.

Da tutto questo risulta uno spazio che è, ad oggi, non solo il più ricco e scientificamente più avanzato al mondo, ma anche lo spazio che garantisce il più elevato standard di diritti. Uno spazio in cui le imprese sono definite non come un sistema di azionisti (come negli Usa) ma come un sistema di stakeholders (la co-gestione che i nostri sindacati hanno difficoltà a digerire) e in cui gli standard dei prodotti non sono stabiliti unilateralmente dalle multinazionali ma da un complesso processo in cui il pubblico interesse gioca un ruolo significativo.

Questo spazio ha bisogno di trovare un suo equilibrio a livello di governance. Fino ai referendum francese e olandese del 2004 ci si era illusi che tale equilibrio potesse essere ritrovato rifacendosi alle categorie dello Stato, immaginando una sorta di super Stato europeo. Ma la Ue è qualcosa di diverso da un super stato. Si tratta di un qualcosa mai prima visto nella storia umana. Per questo il Consiglio Europeo e il dibattito sui vaccini è interessante. Dovrebbe servire a cominciare a delineare un sistema di governance che non sia un super-stato.

Bisognerebbe fare attenzione ai risultati di questo Consiglio europeo: magari si possono cominciare a intravvedere possibili percorsi della Conferenza sul futuro della Ue apertasi all’inizio di questo mese. Per questo è indispensabile avere le idee chiare (per un approfondimento cfr. qui).

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