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Bergoglio, otto anni di pontificato nel segno della fratellanza

Otto anni all’insegna dello sguardo cosmico. La indisponibilità di Francesco a consegnare agli allucinati cantori dell’odio intere fedi diverse ha prodotto proprio nelle ore di questo ottavo anniversario la gioia più impensabile. L’Iraq a guida sciita che il papa ha appena visitato, ha invitato la suprema autorità sunnita con cui Francesco ha firmato il documento sulla fratellanza umana, al Tayyeb

Servirebbe un libro per raccontare questi otto anni di pontificato, ma per capirli forse basta una parola, fratellanza. Per capire la fratellanza, pietra miliare dei viaggi come dei principali documenti pontifici, da Amoris Laetitia a Laudato si’ a Fratelli tutti, occorre partire da un’altra parola, via.

Nella famosa triade di Gesù, “io sono la via la verità e la vita” il cristianesimo occidentale ha spesso anteposto la verità. Bergoglio è tornato ad anteporre la via, lungo la quale ciò che conta non è non cadere mai, ma rialzarsi sempre. Questa visione ha certamente respinto la tentazione di fare della Chiesa un giudice eterno e immodificabile al di fuori e al di là della storia. La centralità della verità antepone la legge, col rischio di indurre a vedere anche nei sacramenti un premio per giusti e non un unguento per chi cade nelle asperità del cammino.

La centralità della misericordia deriva anche da questa visione. La priorità del cammino umano, tra difficoltà e debolezze, antepone la misericordia nel nome dell’importanza del cammino, della storia, che cambia cambiando anche l’uomo, il suo ritmo, il suo contesto. “I tempi cambiano…”, disse Francesco ricordando che nella fedeltà al Vangelo anche i cristiani devono cambiare, interpretando i segni dei tempi.

Ma la visione di Francesco, convinto che l’uomo sia soprattutto un essere relazionale, sa che nessuno può camminare da solo. La sua appartenenza a Dio lo pone su un cammino che attraversa fiumi, foreste, città, mari, deserti, latitudini, tutte diversità indispensabili all’unicità composita del creato. Se fossimo tutti uguali non potremmo vivere con e in ecosistemi diversi. Così le nostre diversità appartengono al disegno divino, non a quello dei fondamentalisti che credono che fuori dalla propria verità di fede ci siano solo false credenze e quindi una falsa umanità. Questa visione esclude la possibilità di vivere insieme, chiudendo il mondo in compartimenti stagni, impenetrabili, e quindi privi di possibili incontri, ma solo rivalità o guerra. La fraternità per Francesco è un fatto cosmico, che unendo tutto il creato manifesta il disegno di Dio di unire i diversi, le stelle in un firmamento, i mari e i monti in un mondo, i popoli in un’umanità.

Questa certezza guida il pontificato dal suo primo viaggio, tra i profughi di Lampedusa, all’ultimo, nell’Iraq culla dei virus contemporanei, le opposte allucinazioni apocalittiche di Isis e Pasdaran e relativi padrini. Per loro il mondo è un inferno, da portare il più presto possibile a distruzione per accelerare la battaglia finale e il trionfo della giustizia divina.

La indisponibilità di Francesco a consegnare agli allucinati cantori dell’odio intere fedi diverse ha prodotto proprio nelle ore di questo ottavo anniversario la gioia più impensabile. L’Iraq a guida sciita che il papa ha appena visitato, ha invitato la suprema autorità sunnita con cui Francesco ha firmato il documento sulla fratellanza umana, al Tayyeb. Immersi in un indotto conflitto, sunniti e sciiti si scopriranno fratelli? Ci sarà un incontro con l’ayatollah al Sistani, che ha appena incontrato Francesco riconoscendo la sua visione sulla fratellanza? È stato lui a sollecitare l’invito? No, è stato il viaggio di Francesco, la sua idea di fratellanza.

Gli incontri personali per chi crede che l’uomo sia un essere relazionale cambiano tutto. Possono sfidare anche asti secolari, perché inseriscono la psicologia nel dialogo teologico, la poesia in quello filosofico, lo sguardo in quello tra uomini. È quello che Francesco ha fatto con la sua Chiesa in uscita, in uscita nel mondo, con la sua Chiesa spedale da campo, che guarda in faccia i feriti, non tiene il computo delle appartenenze. È andata così con i divorziati risposati, con gli omosessuali, con gli indios dell’Amazzonia, con i profughi accatastati a Lampedusa, con chi teme e chi spera, con l’ambiente depredato da calcoli miopi, in sfregio della casa comune. Otto anni all’insegna dello sguardo cosmico.



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