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Perché Biden chiama Turchia (e Iran) al tavolo negoziale sull’Afghanistan

Gli Stati Uniti continuano a spingere per un’uscita dall’Afghanistan. Necessità che perseguono attraverso il negoziato tra Talebani e governo di Kabul e cercando il coinvolgimento di parti della Comunità internazionale come la Turchia (o l’Iran, la Russia e la Cina)

L’inviata speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan, la canadese Deborah Lyons, sarà a Doha da oggi, 9 marzo, per tutta la settimana. Terrà incontri con i rappresentanti afghani, con gli inviati dei Talebani, con i colleghi diplomatici qatarini, e con Zalmay Khalilzad, inviato speciale della Casa Bianca che da mesi sta cercando di mediare una pace tra il governo di Kabul e il gruppo insorgente jihadista.

L’arrivo nella capitale del Qatar, dove i Talebani hanno una rappresentanza diplomatica semi-ufficiale, della delegata delle Nazioni Unite coincide con un rinnovato push statunitense alle trattative – che procedono tra svariate complicazioni. La priorità di Washington resta quella di chiudere il dossier (il più lungo impegno militare della storia statunitense) nel modo migliore e più rapido possibile. E su questo l’amministrazione Biden non si discosta troppo dalla precedente.

Per tale ragione, mentre gli incontri di Doha rallentavano, Khalizad ha viaggiato tra Pakistan e Afghanistan, prima di tornare di nuovo in Qatar, per una serie di meeting. Contemporaneamente dal dipartimento di Stato il segretario Anthony Blinken ha messo nero su bianco l’impegno e i desiderata americani. L’obiettivo è un governo ad interim, dove il governo condivida con gli insorti l’esecutivo. Primo di entrare più nello specifico, c’è da tenere in mente che tutt’ora i Talebani compiono operazioni militari e di terrorismo contro le autorità di Kabil.

Blinken ha inviato al presidente afghano, Ashraf Ghani, una lettera in quattro punti per procedere verso l’obiettivo (la notizie è stata un’esclusiva di Tolo News). Innanzitutto ha promosso la convocazione, sotto egida Onu, di un tavolo di colloquio coordinato a cui prendano parte Russia, Cina, Iran, Pakistan, India e Stati Uniti (chiaro l’intento di coinvolgere i vari partner, anche quelli rivali, in un sistema multilaterale su un teatro complesso, dove tutti nel corso di questi anni di destabilizzazione hanno mosso interessi, leve e procure). Poi, una volta arrivati alla stabilizzazione di un cessate il fuoco (ai talebani sono chiesti almeno 90 giorni di stop delle attività, richiesta già fissata dall’amministrazione Trump, ma non mantenuta dal gruppo), procedere con la costruzione dell’esecutivo.

Qui entra in campo un altro attore che Washington vuole includere nel pacchetto negoziale: la Turchia. Gli Stati Uniti vogliono che il vertice negoziale definitivo sia organizzato da Ankara; dando un ruolo nel sistema multilaterale anche a Recep Tayyp Erdogan; confermando l’importanza dell’alleanza con la Mezzaluna; sottolineando il ruolo di link che il mondo dell’Islam politico ha in certi contesti (vedere la diplomazia giocata dal Qatar, che insieme alla Turchia rappresenta quel mondo anti-status-quo mediorientale).

Sul tavolo c’è il ritiro delle truppe statunitensi dal Paese, che secondo l’accordo firmato a febbraio 2020 dovrebbe avvenire entro maggio di quest’anno, ma il Pentagono ha chiesto di metterlo sotto revisione. Blinken conferma la data, se saranno mature le condizioni. D’altronde, ed è lo stesso Blinken a farlo capire, si rischia che con il ritiro i Talebani siano protagonisti di una rapida sopraffazione delle ancora disorganizzate forze (militari, ma anche politico-istituzionali) locali. A maggior ragione se tiene conto che tra marzo e aprile, finito l’inverno, di solito riprendono gli assalti del gruppo insorgente.

Alla luce delle circostanze, diventa chiaro come gli Stati Uniti stiano cercando di distribuire su parti importanti della Comunità internazionale le responsabilità del futuro del Paese; facilitandosi l’uscita dalla centralità del dossier; evitando l’evidenza di una sconfitta (non tanto militare, ma in termini di capacità di state-building); per concentrarsi su altri dossier e per testare gli altri su un passaggio comune.



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