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Big Pharma inganna i cittadini? No, ma… Parla Galli (Sacco)

L’infettivologo del Sacco di Milano commenta le parole di Draghi su big pharma: “Comprensibile la richiesta di trasparenza”, ma “anche gli Stati Ue hanno le loro responsabilità”. Il ping pong di accuse vede uscire tutti sconfitti, ora bisogna accelerare ma per un vaccino made in Italy servono almeno 6 mesi. Sputnik? Nessuno si muova prima dell’Ema

Chissà fin dove è arrivato l’eco del ceffone tirato da Mario Draghi alle big pharma durante il Consiglio europeo. In videoconferenza il premier italiano ha riservato una dura stoccata all’industria farmaceutica. “I cittadini europei hanno la sensazione di essere stati ingannati da alcune case farmaceutiche, penso soprattutto ad AstraZeneca”. Ribadita in conferenza stampa questo venerdì: “A me pare che alcune società abbiano venduto le dosi 2-3 volte”.

L’Italia non è certo l’unica ad aver da ridire sui ritardi nella consegna dei vaccini da parte delle aziende con cui l’Ue ha chiuso i contratti. Tanto che questa settimana la Commissione Ue ha annunciato una nuova stretta sull’export: da ora in poi non partirà più un solo carico di farmaci anti Covid-19 in direzione di Paesi che non vivano la stessa emergenza sanitaria degli Stati membri Ue.

Nel ping pong di accuse reciproche che va ormai avanti da mesi viene da chiedersi se davvero tutta la colpa dei ritardi sia ascrivibile alle case farmaceutiche o ai funzionari della Commissione (fra gli altri è stata al centro di un inspiegabile bombardamento mediatico la DG Santé, l’italiana Sandra Gallina) o se invece anche i governi europei abbiano le loro colpe.

Massimo Galli, infettivologo, direttore responsabile del Reparto malattie infettive dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano, ha i suoi dubbi. “Certamente dalle case farmaceutiche ci poteva essere più trasparenza – ragiona con Formiche.net – e comprendo che il capo di un governo debba mettere prima di tutto il benessere del suo Paese e l’approvvigionamento di un bene primario”.

Eppure la trattativa per i vaccini non è iniziata a Bruxelles. Sono stati quattro Stati membri Ue, Italia, Germania, Olanda e Francia, i primi a rompere gli indugi siglando lo scorso anno un accordo con AstraZeneca, cui solo in un secondo momento è subentrata la Commissione. “Credo che si siano accorti di non aver fatto tutte le cose per bene – commenta Galli – in questo momento conta solo arrivare al risultato”. Lo stesso stop all’export imposto da Bruxelles sottende “una presa di coscienza di Commissione e Stati membri sugli oggettivi ritardi nella consegna dei vaccini”.

Per accelerare, continua Galli, ora serve “una rapida verifica di sistema, non solo sulla fase della vaccinazione ma soprattutto su quella della prenotazione e della facilitazione all’accesso, ci sono stati evidenti problemi”. Qui sono le regioni a doversi battere il petto, spiega l’infettivologo. “Non voglio prendermela con loro, ma chi mi conosce sa che non sono un fan del titolo V e mi sembra difficile negare i grandi problemi che sta dando un sistema della Sanità regionalizzato”.

Per il vaccino made in Italy i tempi sono lunghi, più del previsto. Bando alle pie illusioni: “Non possiamo pensare di avviare la produzione prima di autunno inoltrato”, dice Galli commentando il piano di riconversione industriale coordinato dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti insieme all’Aifa e Farmindustria. “Fin dalla scorsa estate ho detto che la produzione in Italia sarebbe stata un problema. Se già allora fossimo partiti con gli unici due vaccini avanzati già approvati (Pfizer e Moderna, ndr) forse ora non ci troveremmo in balia di questa attesa”.

Meglio comunque evitare accelerazioni incaute, avvisa Galli. Come ad esempio su Spuntik V, il vaccino russo che attende l’approvazione dall’Ema e intanto è stato prenotato dalla regione Campania tramite una società partecipata, Soresa. In conferenza stampa questo venerdì Draghi ha frenato. L’approvazione dell’agenzia Ue non arriverà “prima di tre o quattro mesi” e “se va bene sarebbe disponibile nella seconda parte dell’anno”. “Secondo me non si possono cambiare le regole in corso d’opera, anche se in uno stato di emergenza – dice Galli – credo che un minimo sindacale di sicurezza vada garantito. L’Ema non si è ancora espressa perché non le sono stati sottoposti i materiali necessari”.

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