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Blocco all’export dei vaccini? L’Ue ruggisce ma non ha artigli. Parla l’avv. Santa Maria

L’Ue ruggisce sui vaccini ma non ha gli artigli. Il blocco dell’export annunciato dalla Commissione è più “teorico”, spiega Alberto Santa Maria, partner dello studio Greenberg Traurig Santa Maria e già ordinario di diritto internazionale all’Università Statale di Milano. Sputnik? Un rischio procedere senza l’ok dell’Ema

L’Ue imbraccia le armi nella partita dei vaccini, ma sono spuntate. La revisione del meccanismo per l’export dei vaccini anti Covid-19 prodotto in Europa avviata dalla Commissione “è un gesto simbolico”. Parola di avvocato: a esprimere i suoi dubbi a Formiche.net è Alberto Santa Maria, partner dello studio Greenberg Traurig Santa Maria e già ordinario di diritto internazionale all’Università Statale di Milano.

Da Bruxelles garantiscono: non è un blocco all’export. E allora cos’è?

Il blocco c’è, in teoria. In pratica, non riesco a vedere un’efficacia reale.

Perché?

Viene introdotta una nuova condizione, la “reciprocità”. Che, così descritta, limita la capacità di manovra dell’Ue a una risposta a chi ha adottato provvedimenti simili nei suoi confronti. Si contano sulle dita di una mano. Il blocco europeo si riduce di fatto a una forma di pressione nei confronti delle multinazionali che producono i vaccini, con un messaggio forte: noi ci siamo, e voi dovete tenere fede all’obbligo contrattuale del “reasonable best effort” (ragionevole sforzo). Peraltro rimangono quasi tutte le categorie esentate nel primo provvedimento, a cominciare dai 92 Paesi Covax (il programma che garantisce dosi ai paesi in via di sviluppo).

Insomma, l’Ue ha le armi spuntate?

L’unica vera arma che hanno è stare con il fiato sul collo di Big Pharma, e continuare a fare pressioni perché le case farmaceutiche adempiano ai loro obblighi contrattuali e consegnino i vaccini. Ma non è Bruxelles ad avere il coltello dalla parte del manico.

La Commissione ribadisce il principio di proporzionalità: niente export dei vaccini verso gli Stati che non ne hanno bisogno urgente.

Era già contenuto nel “Considerando 9” del regolamento del 30 gennaio, in cui si parlava di limitazione “eccezionale” e “necessaria” per prevenire e ridurre le penurie critiche dei vaccini e si faceva riferimento alle regole del Wto. Difficile intravedere una coerenza con una stretta del genere, operata in una situazione di gravità eccezionale, con quelle regole. La base giuridica è semmai da ricercare nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969.

L’Ue continua a puntare il dito contro i ritardi di AstraZeneca. Come può far rispettare la tabella di marcia?

In questo tipo di accordi solo una clausola può avere un carattere vincolante e proteggere i riceventi. Quella della most favroured nation (nazione più favorita), uno dei cardini del sistema Wto, per cui il trattamento della controparte, sia sotto il profilo economico sia per il rispetto degli impegni contrattuali, deve essere equivalente a quello più favorevole riservato a una parte terza. Nel caso di AstraZeneca, al Regno Unito.

La Commissione rimane nel mirino degli Stati membri. Si poteva fare di più nella fase negoziale?

Mi sembra una polemica sterile. Ricordo che la Commissione si è mossa in accordo con gli Stati membri, e su loro input. Nello steering committee che ha istituito sedevano i rappresentanti dei principali Paesi europei.

C’è stata una trattativa a ribasso?

Se c’è stata, bisogna chiederlo agli Stati membri. Che hanno negoziato con le case farmaceutiche sulla base del principio no profit, no loss (nessun profitto, nessuna perdita, ndr). Non è un caso se da 5 mesi il titolo di Pfizer, che pure oggi è tra i più grandi esportatori di vaccini al mondo, oscilla al di sotto del suo normale andamento.

In Italia intanto c’è chi, come la Lega, chiede di avviare produzione e distribuzione del vaccino russo Sputnik V prima di ottenere il via libera dell’Ema. Si rischiano sanzioni?

Vedo due problemi, nessuno dei quali riguarda le sanzioni. Il primo è un problema di coerenza: come si fa anche solo a pensare di partire con un vaccino non approvato dopo aver fermato per quattro giorni la distribuzione di AstraZeneca, con motivazioni discutibili e un danno psicologico non marginale?

Il secondo?

Il controllo dell’Ema non è una formalità. Queste agenzie, vale anche per l’Aifa, non verificano solo i rischi del farmaco ma vanno a determinare le modalità con cui è stato prodotto e i siti di produzione. Non si può sviluppare un vaccino in qualsiasi stabilimento. Deve essere certificato, visionato, richiede tempo.

Quanto?

Dipende dalla disponibilità del Paese in questione ad aprire i suoi centri. Basti pensare che il vertice di Doha del Wto non si è ancora chiuso dopo anni di lavori perché i Paesi più piccoli fanno ostruzionismo e non vogliono che si vada a verificare i loro impianti di produzione per evitare che vengano a galla l’uso di lavoro minorile o condizioni anti-igieniche.

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