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Alla “bussola” di von der Leyen mancano i semiconduttori

La strategia Digital Compass lanciata da Ursula von der Leyen prevede un’Unione europea in grado di competere con Usa e Cina nel mercato dei semiconduttori e delle infrastrutture tecnologiche. Un obiettivo complesso e al momento solo sulla carta: tutti gli ostacoli di una sovranità tecnologica

L’Europa deve far parte del mondo digitale, e subito. È questa la visione della Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per il progetto “2030 Digital Compass” – notizia riportata da Formiche.net la scorsa settimana. Però, far parte di un mondo digitale, creare un continente digitalmente sovrano, essere indipendenti dai grandi dibattiti tecnologici internazionali, è un lusso che l’Europa ancora non può permettersi.

Per quanto riguarda la produzione di semiconduttori, utili per la creazione di chip (a loro volta elementi necessari per i dispositivi abilitati a ricevere la frequenza del 5G), l’Ue vorrebbe aumentare la loro produzione globale del 10% entro il 2025. Un obiettivo per molti irraggiungibile, specialmente considerata le difficoltà legate al Covid-19. Dunque, perché è così importante per l’Ue accrescere l’output di semiconduttori? A questa domanda la risposta è semplice: avere indipendenza. Se invece chiedessimo da chi l’Ue vuole diventare indipendente, la risposta sarebbe più difficile.

Attualmente, la produzione di semiconduttori si trova principalmente in Cina e negli USA, fattore geopolitico che ha portato l’Ue e von der Leyen a spingere per una produzione indipendente . Ma non è perché non si vogliano chip dalla Cina o dagli USA, è una mossa guidata solo dallo scopo di avere indipendenza informatica – e tutto ciò che ne consegue: dati che rimangono in Ue, leggi sulla privacy sicure e nessun passaggio intercontinentale d’informazioni.

Infatti, negli ultimi anni, l’Europa è rimasta in “panchina”, ferma a guardare gli USA e la Cina crescere a livello informatico senza avere voce in capitolo. Ed è proprio per questo motivo che bisogna chiedersi se ci siano dei digital champions disposti a trasferirsi in Europa, sottostare alle leggi europee e al contempo pagare le (spesso alte) tasse presenti nei paesi membri. Al momento, nessuno.

Se la strategia a lungo termine di von der Leyen è quella di un’Europa produttrice e consumatrice allo stesso tempo, allora la risposta alla domanda “da chi si vuole essere indipendenti” risulterebbe semplice: da tutti. In realtà non sembra essere affatto così, specialmente perché le tre più grandi aziende tech in Europa sono tedesca, francese e olandese – SAP, Dassault e ASML – e non vi sono società estere che possano svolgere un ruolo da third parties.

Nessuna azienda tech si è sbilanciata verso la strategia Digital Compass e nessuna società ha dichiarato di voler spostare i suoi quartieri generali in Europa o almeno aumentare significativamente i loro investimenti in uno degli stati membri. I motivi possono essere molteplici: le rigide leggi dell’UE sugli investimenti e la privacy oppure l’alto costo di produzione in molti paesi. A prescindere dalle motivazioni, investire in Europa è complicato.

Un’alternativa sarebbe che l’Ue stanziasse fondi cospicui per spronare la competitività, ma attualmente l’Unione non sembra aver previsto una massiccia iniezione di liquidità al di fuori del programma Next Generation Eu, che include una parte di investimenti nella transizione digitale. Altrimenti, si potrebbe pensare di raggiungere una semi-indipendenza, basata sull’interdipendenza – in un certo senso, rendersi indispensabili come blocco.

Questa possibilità potrebbe attenuare i conflitti tra Usa e Cina, e, nel mentre, aprire un nuovo dialogo internazionale per porre un freno ad un possibile dominio globale (in termini di produzione di semiconduttori) da parte di uno dei due, dando così l’opportunità ad altri player di inserirsi nel mercato. Se l’indipendenza è complicata, l’interdipendenza può essere più semplice. Specializzarsi in un settore, in una produzione sola, in un elemento, invece che su tutto lo sviluppo tecnologico, è una strategia vincente: rendersi essenziali per quel prodotto ed essere i migliori.

Le alternative risultano essere ancora poco accattivanti, e in tempi di Covid-19, sono poche le aziende tech disposte a investire all’estero. Ciò che è certo, è che l’Europa ha bisogno di guadagnarsi un ruolo nella produzione mondiale di semiconduttori, dispositivi, componenti di calcolo e chip abilitati alla quinta generazione. L’Europa deve quindi inserirsi nella supply chain globale e rendersi fondamentale. Ma come sarà sarà raggiunto questo obiettivo è ancora un mistero.

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