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Innocenza all’unanimità, il colpo di Cartabia nel mosaico di Fusi

Via libera alla Camera allo stop per la spettacolarizzazione delle indagini. Essere capaci di far marciare assieme tutte le forze della strana maggioranza che sostiene il governo al momento è cosa che sembra riuscire solo a due persone: Mario Draghi “per contratto” e Marta Cartabia. Anzi, quest’ultima addirittura più efficace visto che sul piano parlamentare FdI è fuori mentre sul recepimento della direttiva Ue il partito della Meloni ha acconsentito

Veder approvare dal Parlamento con una quasi unanimità un principio, non è usuale. Sapere che si tratta di una disposizione che viene dall’Europa, ancor meno. Verificare che in questo modo si interviene sul un tema ultra scottante come la giustizia, sbalordisce. Se infine ci si rende conto che quel voto quasi unanime sblocca una impasse determinata dal più forte partito nelle Camere, è portentoso.

Senza retorica che non serve ma anche senza infingimenti che non fanno capire, il via libera di Montecitorio al recepimento della direttiva Ue in base alla quale si mette uno stop alla spettacolarizzazione delle indagini, alla gogna per cui un indagato che riceve un avviso di garanzia – teoricamente un atto a sua tutela – viene immediatamente trasformato non solo in un colpevole ma in un reietto con conseguenza sulla vita sua e dei suoi familiari devastante, alla grancassa mediatica e in particolare della carta stampata per cui gli atti indagatori dei magistrati sono salvifici e quelli dei tribunali, che spesso smontano ciò che si definisce l’impianto accusatorio, sono denegata giustizia da mettere nel dimenticatoio, rappresenta un passo importante per rendere il pianeta giudiziario italiano un po’ meno sperequato, un po’ più avanzato, un po’ più consono ad uno Stato di diritto.

In pratica viene sancito l’obbligo, da inserire da qui in avanti nella legislazione italiana, “sul rafforzamento di alcuni aspetti del principio di innocenza e del diritto di presenziare ai processi nei procedimenti penali”. In sostanza, le conferenze stampa sulle indagini trasformate in show non saranno più possibili e chi è indagato non potrà più essere presentato tout court come colpevole attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica.

Che il giusto processo sia già inserito in Costituzione all’articolo 111 e che nessuno possa o peggio debba essere considerato né tantomeno bollato come colpevole fino a sentenza definitiva, rendono il recepimento della direttiva non solo tardivo ma anche urticante: sono norme e precetti fondamentali che tuttavia sono stati negli ultimi decenni dimenticati a favore di un giustizialismo appaiato all’invocazione del tintinnio di manette che ha stravolto l’equilibrio giudiziario tra accusa e difesa a vantaggio pressoché assoluto della prima.

Al voto della Camera (una menzione d’onore va all’ex ministro Enrico Costa) plaudono un po’ tutti tranne i Cinquestelle che in Commissione avevano sbarrato il passo e ora parlano di indicazioni genericamente intese e tutte da definire prima di essere inserite nell’ordinamento italiano. Si capisce l’imbarazzo: la dimensione giudiziaria è stata uno degli asset più corposi nella travolgente vittoria del MoVimento alle elezioni del 2018.

Tuttavia, come sempre, oltre all’aspetto contenutistico c’è anche una dimensione politica che è impossibile sottovalutare e che in questo caso assume una importanza più che notevole. Infatti fintantoché il posto di Guardasigilli è stato occupato da Alfonso Bonafede, il recepimento è rimasto un miraggio del tutto incorporeo. Un mese o giù di lì di lavoro sulla stessa poltrona della ministra ed ex presidente della Consulta (prima donna in assoluto) Marta Cartabia, ha rovesciato lo schema e consentito con un lavoro continuo, incisivo, senza proclami, di grande professionalità e autorevolezza, di tagliare un traguardo che appariva irraggiungibile. Con il voto favorevole dei grillini.

Non è un dettaglio. Soprattutto se si inserisce una dose di malizia che nelle vicende politiche nostrane è consustanziale. Essere capaci di far marciare assieme tutte le forze della strana maggioranza che sostiene il governo al momento è cosa che sembra riuscire solo a due persone: Mario Draghi diciamo “per contratto”, e appunto, Marta Cartabia. Anzi, quest’ultima addirittura più efficace visto che sul piano parlamentare FdI è fuori mentre sul recepimento della direttiva Ue il partito della Meloni ha acconsentito. Draghi e Cartabia sono due autorevolissimi candidati a succedere a Mattarella. Tuttavia il primo ha sulle spalle il gravoso compito di governare e rimettere in sesto l’Italia. La seconda sarebbe un’altra prima volta di una donna in una istituzione altissima. Honi soit qui mal y pense: non è il motto dell’Ordine della Giarrettiera?


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