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Caso Navalny, ecco perché l’Ue prende tempo sulle sanzioni alla Russia

La riunione degli ambasciatori Ue di ieri non ha dato luce verde alle sanzioni alla Russia per il caso Navalny. I 27 vogliono allargare il pacchetto per non irritare troppo Putin

L’incontro di ieri del Comitato politico e di sicurezza, composto dagli ambasciatori degli Stati membri presso l’Unione europea, non ha dato luce verde al pacchetto di sanzioni annunciato la scorsa settimana (per la prima volta di concerto con gli Stati Uniti) contro quattro ufficiali russi per la detenzione di Alexei Navalny, oppositore del presidente Vladimir Putin. A rivelarlo è Politico, che cita “diversi diplomatici” europei. Due di loro hanno accusato Budapest di aver bloccato la decisione. A essere maliziosi viene da pensare che il dito puntato contro l’Ungheria di Viktor Orbán, che pur recentemente ha aperto – e molto – a Mosca così come a Pechino, in questo caso sia piuttosto pretestuoso.

Infatti, secondo i diplomatici il pacchetto sarà più ampio. Misure restrittive dovrebbero essere imposte anche su altri soggetti colpevoli di violazioni dei diritti umani in Cina, Corea del Nord e altri Paesi del Corno d’Africa. Sei Paesi in tre regioni, hanno spiegato alla testata online.

Politico lo definisce un “balancing act”. Si tratta del primo pacchetto di sanzioni decise in base al nuovo EU Global Human Rights Sanctions Regime, cioè il cosiddetto Magnitsky Act europeo, che dovrebbe essere approvato dei ministri degli Esteri nella riunione del 22 marzo, alla quale dovrebbe partecipare anche Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Nonostante le parole pronunciate alla Brookings Institution dal ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas che ha auspicato che il lavoro con gli Stati Uniti di Joe Biden su sanzioni “comuni” possa proseguire, l’Unione europea sta cercando in questi giorni un “un equilibrio geografico”, scrive Politico. L’obiettivo dei 27 è “evitare di fare l’impressione che il nuovo quadro sia stato introdotto solo per colpire la Russia”. Ed è la stessa ragione per cui non è stato chiamato come quello statunitense da cui trae grande ispirazione, il Magnitsky Act, dedicato a Sergej Magnitsky, avvocato russo oppositore del presidente Putin morto in carcere nel 2009 in circostanze sospette dopo essere stato arrestato l’anno prima con l’accusa di frode fiscale.



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