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Sulle chiusure la musica non cambia. Cosa mi aspetto da Draghi

Draghi non avrebbe fatto i conti con le strozzature del quadro istituzionale, con sistemi regionali che vanno per conto loro e, soprattutto, con le difficoltà oggettive di organizzare un’operazione tanto complessa come vaccinare più volte decine di milioni di persone. Il commento di Giuliano Cazzola

Ho investito troppa stima e fiducia in Mario Draghi e nel suo governo per iniziare a disinvestire dopo cinquanta giorni perché i rendimenti non sono quelli che mi aspettavo. Del resto, il bond SuperMario è quanto di meglio e di più sicuro si trova sul mercato e, certamente, le sue performance miglioreranno. In fondo, i problemi si sono rivelati più seri del previsto, vi sono state turbolenze all’interno delle forze politiche della maggioranza, per fortuna superate senza i rinvii a cui eravamo abituati col governo precedente.

Il decreto Sostegni concentra un importante ammontare finanziario (32 miliardi) in alcuni snodi cruciali senza disperdere risorse – comunque preziose anche se rese disponibili attraverso uno scostamento di bilancio a debito – in mille rivoli per finanziare misure discutibili. Per rendersene conto è sufficiente osservare che nel decreto all’esame del Parlamento sono allocati per la campagna vaccinazioni ben 5 miliardi: lo stesso importo che nella legge di bilancio era stato destinato a quel sarchiapone del cashback, come se fosse importante abituare le persone ad usare la moneta elettronica, magari prima di essere ricoverate in rianimazione.

Anche la tecnica legislativa ha un’importanza non secondaria. Il decreto Sostegni è composto da 44 articoli, in larga parte auto-applicanti ovvero senza che si debba rimandare l’attuazione delle norme a dopo il varo di numerosi decreti interministeriali e ministeriali, che intasano gli uffici ed allontanano nel tempo (in una situazione come l’attuale anche i mesi divengono un’eternità) i “ristori” promessi ai beneficiari.

Dove sta, allora, il problema? Perché non è ancora emersa, a mio avviso, quella “spinta propulsiva” che io mi aspettavo da Draghi? Rispetto al Conte 2 vi è sicuramente una “discontinuità” operativa all’interno però di una “continuità” strategica. Fino ad ora – anche col decreto Sostegni – la linea di politica economica poggia sull’assistenza ovvero sull’intervento dello Stato a salvaguardia dei redditi e dei ricavi venuti a mancare a seguito delle limitazioni e restrizioni imposte ad attività economiche – più o meno sempre quelle da un anno a questa parte – dalla crisi sanitaria.

Nel suo discorso sulla fiducia Draghi aveva chiarito il suo programma: concentrare tutti gli sforzi sulla campagna di vaccinazione prima che l’impresa storica della messa a disposizione, in breve tempo, dei vaccini, fosse vanificata dall’insorgere di varianti sconosciute e soprattutto per liberare l’economia da vincoli soffocanti. Era evidente che, se non vi fosse stata la possibilità di mettere sotto controllo la pandemia, a qualunque governo sarebbe stato impedito di occuparsi di altri problemi. In questo primo giro anche Draghi ha dovuto abbozzare. Il dpcm sulla moderazione del contagio ha dato la linea. Come ha scritto Enrico Cisnetto nella sua newsletter settimanale: “E agli occhi di Draghi appare ogni giorno più chiaro che rischia di essere illusorio poter disgiungere il successo della vaccinazione di massa in tempi rapidi dalla contemporanea aggressione di alcuni nodi di fondo che strozzano il piano e rendono apprezzabili ma velleitari gli sforzi organizzativi realizzati con l’ingresso in campo dell’Esercito e della Protezione Civile, dal lato della logistica, e delle Poste, da quello dell’informatizzazione del processo”.

In sostanza, Draghi non avrebbe fatto i conti con le strozzature del quadro istituzionale, con sistemi regionali che vanno per conto loro e, soprattutto, con le difficoltà oggettive di organizzare un’operazione tanto complessa come vaccinare più volte decine di milioni di persone. Un’operazione caratterizzata dall’assillo dell’emergenza sia per i BigPharma quando prendevano impegni produttivi poi risultati difficili da mantenere sia per le istituzioni europee che erano sollecitate ad agire il più in fretta possibile. Così alla prova dei fatti si è tornati alla logica dello scaricabarile. Anche Draghi si è messo a fare la voce grossa a Bruxelles, quando in Italia si arranca nell’ eseguire le somministrazioni già disponibili.

Comunque, la linea non cambia: fino a che la popolazione non sarà messa in sicurezza, la regola rimane la chiusura, le cui modalità sono state prorogate di un altro mese, salvo, forse una parziale riapertura delle scuole dopo Pasqua (ci penseranno poi i governatori e i sindaci a disporne una nuova chiusura). Intanto si annuncia un nuovo scostamento di bilancio di 21 miliardi di “sostegni” e il blocco dei licenziamenti, con annessa cig da Covid-19, arriva a fine giugno. Tutti auspichiamo che la campagna vaccinazione decolli in pieno e si recuperino i ritardi. E che, almeno, si rispettino i tempi per la presentazione del Pnnr.

Ma se così non fosse, se occorressero altri mesi per modificare la situazione epidemiologica, si procederà ancora col passo del gambero, tenendo a bagnomaria interi settori dell’economia già sofferenti? Assisteremo all’eutanasia del turismo? Al suicidio della ristorazione e dei pubblici esercizi? Alla soluzione finale per i cinema e i teatri? All’estinzione delle libere professioni e delle partite Iva? A che pro? Non sembra proprio che i “sacrifici umani” di tanti lavoratori e operatori economici abbiano placato la furia dell’Angelo Sterminatore.

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