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La bomba Tsinghua minaccia la tecnologia cinese

Si allunga la lista delle obbligazioni non rimborsate emesse dal colosso asiatico, che ad oggi è insolvente per 3,6 miliardi di dollari. Ma i creditori sono stufi e adesso hanno deciso di muovere sulle attività offshore del gruppo, chiedendone il congelamento. Un colpo ai piani di Xi Jinping sui chip

Sulla Cina si abbatte la mina Tsinghua, colosso asiatico nella produzione di chip e semiconduttori. La scoietà, simbolo in tutto il mondo della tecnologia cinese, è a un passo dal fallimento, dopo il mancato pagamento di un bond, emesso lo scorso autunno, del valore di 200 milioni di dollari (1,3 miliardi di yuan).

Soldi con cui la società tecnologica nata da una costola dell’omonima università di Pechino, a finanziare il suo enorme debito (31,2 miliardi di dollari), raccogliendo la liquidità direttamente dal mercato. Ma al momento della scadenza, il gigante cinese non sarebbe riuscito a onorare il debito con i creditori, aprendo la strada al default. Anche perché, non è il primo capitombolo per il colosso dei chip, che ad oggi ha inanellato ben sette flop su altrettanti bond ancora non onorati, per un valore complessivo di 3,6 miliardi di dollari.

Ora però c’è uno sviluppo della vicenda Tsinghua, che complica ancora di più la delicata situazione delle grandi aziende cinesi, molto indebitate e a corto di liquidità, complice l’altro deficit statale e la diffusa insolvenza di molte famiglie nei confronti delle banche (qui uno dei tanti approfondimenti sul tema di Formiche.net). E cioè che i creditori, ovvero gli obbligazionisti che hanno prestato i 200 milioni alla società, stufi di aspettare il pagamento delle cedole, avrebbero deciso di rivalersi sulle controllate di Tsinghua sparse per il mondo, paventando un congelamento delle attività offshore, la cui cessione potrebbe far venir meno la garanzia degli stessi creditori.

Un gran bel problema per il governo centrale cinese, visto che Tsinghua è al centro dell’agenda del presidente Xi Jinping per raggiungere l’autosufficienza nella produzione di semiconduttori, segmento industriale decisamente sensibile per la grande industria cinese e dai risvolti geopolitici, visto che gli stessi Stati Uniti hanno impedito alle aziende cinesi di accedere ai chip costruiti dalle straniere, costringendo così Pechino a dotarsi di tecnologia propria. Strategia che rischia di naufragare, vista l’insolvenza di Tsinghua.

Il governo cinese, conscio dell’enorme debito della società, vorrebbe dare la precedenza al ripianamento dell’esposizione verso la Cina e non verso creditori stranieri, che non ci stanno a non essere della partita dei rimborsi. Per questo, come raccontato dal Financial Times, gli avvocati che rappresentano gli obbligazionisti di Tsinghua a febbraio hanno mosso sul tribunale di Hong Kong per attaccare frontalmente le attività offshore di proprietà di Tsinghua, con il chiaro obiettivo di mettere sotto pressione la società, costringendola a onorare il debito contratto cinque mesi fa.

Più nello specifico, la richiesta degli obbligazionisti e dei loro legali sarebbe quella di congelare gli asset offshore per  impedire a Tsinghua di arrivare a vendere le citate attività e utilizzare i proventi per estinguere i soli debiti della società in Cina, così come nei desiderata di Pechino. Perché questo vorrebbe dire lasciare a bocca asciutta i creditori esteri, che poi sarebbero gli stessi del bond da 200 milioni e di quelli precedenti.

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