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La Cina accusa gli Usa di violazione dei diritti umani. E sull’Italia…

Bue, asino e corna. La Cina pubblica un “rapporto” sui diritti umani in Usa, accusando gli americani di utilizzare doppi standard nel giudicare la condotta di Pechino, sulla scia delle sanzioni occidentali imposte al regime

Mercoledì lo State Council Information Office (SCIO) cinese, noto anche come Ufficio Centrale di Propaganda Estera, ha pubblicato un rapporto di diciotto pagine sulle violazioni dei diritti umani degli Stati Uniti d’America nel 2020. Il documento, annunciato a inizio marzo, è comparso a due giorni di distanza dall’imposizione coordinata di sanzioni da parte degli Usa e altri Paesi occidentali, incentrate sugli abusi in materia di diritti umani.

“Gli Usa, che si sono sempre considerati eccezionali e superiori, hanno visto la propria situazione epidemica sfuggirgli di mano, accompagnata da disordine politico, conflitti inter-etnici, e divisione sociale [che] si sono aggiunti alle violazioni di diritti umani nel Paese, la cosiddetta ‘città sulla collina’ e ‘faro della democrazia’”, annuncia il rapporto. Che si apre con le ultime parole di George Floyd, “I can’t breathe”.

Gli autori criticano duramente Washington sotto moltissimi aspetti, tra cui: razzismo “sistemico”, violenza su minoranze etniche e minori di colore, “picchi record” di incidenti dovuti ad armi da fuoco e l’epidemia di Covid-19 trasformata in “tragedia umana” dall’approccio “incosciente” del governo. Ma ne hanno anche per svariati ufficiali pubblici, esperti, i media occidentali in senso lato, università, think tank, l’economia, la sanità pubblica, il digital divide, l’educazione e altro ancora. Infine, il “calpestamento delle regole internazionali”.

Non serve un analista per riconoscere che la Cina sta giocando in difesa. Il regime di Pechino è responsabile di svariate violazione dei diritti umani secondo Human Rights Watch, Freedom House, Amnesty e un numero elevatissimo di pubblicazioni, think tank, istituzioni e governi. Nella lista non figura l’ONU perché la Cina siede nel Consiglio sui Diritti Umani dell’ente (UNHRC). Le sanzioni imposte da Usa, Ue, Giappone, Canada e Regno Unito sono basate sul crescente corpus di prove riguardo alla repressione in atto in Cina, specificamente (ma non solamente) nello Xinjiang, Hong Kong e Tibet.

“Il governo americano, piuttosto che esaminare sé stesso a proposito della propria tremenda situazione dei diritti umani, ha continuato a fare commenti irresponsabili sulla situazione dei diritti umani in altri Paesi, mettendo a nudo i propri doppi standard e la propria ipocrisia”. Questa è la chiave di lettura del rapporto cinese sull’America: la delegittimazione.

Pechino sta essenzialmente rispedendo le accuse al mittente, oltre a rifiutarle come da prassi. Questa ultima tattica è basata sulla linea del Partito comunista cinese, espressa al vertice Cina-Usa di Anchorage ed esplicitata nei giorni scorsi dall’ambasciatore cinese in Italia Li Junhua, secondo cui “ogni Paese interpreta i diritti umani in modo diverso”, e perciò l’Occidente non può permettersi di immischiarsi negli “affari interni” del Paese. Dunque, la Cina “è stata forzata” a rispondere alle sanzioni perché le ritiene ingiuste, ha spiegato l’ambasciatore, essendo queste basate sull’“alterazione della realità”.

E però il rapporto cinese sull’America dipinge una realtà ben poco realistica. Il documento prende spunti dalla cronaca statunitense recente per disegnare una democrazia in declino, dominata dagli interessi economici, incapace di assicurare la transizione del potere senza che scorra sangue (il riferimento è a Capitol Hill), foriera di oppressione delle minoranze e quant’altro.

Non dovrebbe sorprendere che il rapporto sia stato rilanciato da Sputnik, testata alle dipendenze del Cremlino, che ne ha tratteggiato le conclusioni con entusiasmo. La Russia è stata investita dalle sanzioni occidentali (sempre riguardanti i diritti umani) in contemporanea alla Cina, e i due regimi autoritari stanno facendo fronte comune per difendere la loro alternativa all’Occidente democratico.

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