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Cosa mancava nel discorso di Letta: poveri, migranti e giustizia economica

Un discorso non da partito di sinistra ma di centro, in continuità con la storia del Pd degli ultimi anni. Si adatta molto bene alla situazione dei Municipi delle zone agiate urbane (dove il Pd vince), ma, molto probabilmente, dice ben poco alle periferie e ai quartieri della (ex) classe media (dove il Pd perde). L’opinione di Rocco D’Ambrosio, ordinario di Filosofia Politica alla Pontificia Università Gregoriana

Seguendo il discorso di Letta, prima della sua elezione a segretario, è innegabile che siano velocemente sfilate in mente tanti immagini di questo partito, della sua storia e di quello che rappresenta per il Paese. E il suo argomentare segna una ripresa di qualità politica considerevole: argomentare logico e motivato, riferimenti alti, strategie chiare, pianificazione per un nuovo partito, insistenza sulla formazione nel partito e nel Paese, attenzione alla questione femminile e quella giovanile, all’identità europea. Non è da poco sottolineare come abbia usato più il NOI che l’IO, e questo porta al sincero augurio che la sua segreteria sia anche efficace nel liberare il PD da tutte le forme adolescenziali, autoreferenziali, corrotte e ipocrite che animano una cospicua parte della politica italiana e del Paese.

Al centro del suo programma ci sono le “donne e i giovani”. Niente da eccepire per le motivazione apportate. Eppure, per un partito che si chiama democratico e raccoglie due eredità storiche (comunista e democristiana di sinistra), qualcosa non quadra. Letta non ha mai parlato di poveri, solo una volta di “esclusi e persone in difficoltà”, né di concrete politiche del lavoro; mai di migranti, ma solo di “ius soli” e di “nuovo patto migratorio” da riformare; non ha parlato della questione vaccini come questione di giustizia economica e democratica a livello nazionale e globale; di clima solo come sfida senza precisare le relative politiche. Certo ha parlato di Europa, diritti, riforma della giustizia, riforme della PA e lotta alla mafia.

Il non aver citato la questione vaccini solleva molte domande, visto anche il fatto che, nel resoconto ufficiale della discussione all’europarlamento del 10 febbraio 2021 (www.europarl.europa.eu/news), si legge: “I deputati hanno riconosciuto che l’UE ha sottovalutato le sfide relative alla produzione di massa dei vaccini e che è necessario prendere con la massima priorità delle misure concrete per aumentare la produzione.

Molti deputati hanno esortato la Commissione a far rispettare i contratti esistenti e, allo stesso tempo, a sostenere gli Stati membri nelle loro strategie di vaccinazione. Secondo alcuni deputati, per costruire la fiducia dei cittadini negli sforzi di vaccinazione ed evitare la disinformazione, l’UE deve “dire la verità”. A tale proposito, molti deputati hanno ricordato la necessità di trasparenza sui contratti, oltre a dati completi e chiari sulla distribuzione a livello nazionale dei vaccini. Tenendo conto delle grandi quantità di denaro pubblico investito, diversi deputati hanno chiesto un maggiore controllo parlamentare sull’attuazione della strategia dei vaccini”. Un partito che vuole essere autenticamente europeista non può dimenticare la questione numero della crisi pandemica oggi, a un anno dal suo inizio, così come la si dibatte in Europa.

In sintesi, a mio modesto avviso, non è stato un discorso da partito di sinistra ma di centro; in altri termini molto postcomunista e postdemocristiano di sinistra e ciò è in continuità con la storia del partito degli ultimi anni. Per dirla con un esempio romano: questo discorso si adatta molto bene alla situazione dei Municipi delle zone agiate della città (dove il PD vince), ma, molto probabilmente, dice ben poco alle periferie e ai quartieri della (ex) classe media (dove il PD perde).

Inoltre ho l’impressione che questo discorso programmatico lasci fuori alcuni filoni di pensiero sociale, sia cattolico che di sinistra, che può ancora contribuire a presenze e strategie politiche sia locali che nazionali. Infatti alcuni movimenti locali e nazionali (come “Le Sardine” e quelli ambientalistici e pacifisti) avrebbero difficoltà nel riconoscersi in esso, vista gli scarsissimi riferimenti a quei valori politici fondamentali di solidarietà e bene pubblico, sanciti nella Costituzione, per intenderci.

Orbene anche questa parte politica ha un patrimonio sano e profondo da offrire: riflessioni su lavoro, sviluppo e sicurezza, impegno per la pace, solidarietà con i migranti e multiculturalità, sindacalismo tenace, piccola imprenditoria, volontariato e terzo settore di qualità, ambiente e vivibilità delle città. Ma questa parte politica manca di una rappresentanza stabile perché le tante anime della sinistra, soprattutto in Italia (in Europa quasi per niente), si perdono in prassi e discorsi nostalgici o litigiosi. E aumentano quella sacca di elettorato orfano di rappresentanza politica, se non proprio delusa e non votante.

Letta ha citato papa Francesco e ha definito la Fratelli tutti la più bella enciclica. Proprio lì, al n. 188, si legge: “I politici sono chiamati a prendersi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. […] Significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità. Così certamente si dà vita a un’attività intensa, perché tutto dev’essere fatto per tutelare la condizione e la dignità della persona umana”.

[Foto dal profilo twitter di Anna Ascani]

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