La rilevanza dei “fatti normativi” nel diritto costituzionale investe non solo la prospettiva della forma di governo, ma anche il tema delle fonti del diritto, della giustizia costituzionale, della storia costituzionale. Un estratto dal libro di Ylenia Maria Citino “Dietro al testo della Costituzione” (Editoriale Scientifica)
Se tutti gli articoli della Costituzione potessero essere apprezzati nel loro empireo, in un ambiente astorico e acritico privo di interferenze con la realtà, quasi certamente risulterebbero saldamente ispirati a principi e valori universali, ipoteticamente idonei a soddisfare con razionalità ed efficacia le complicate esigenze di uno Stato. Le norme costituzionali sembrerebbero, in altre parole, adempiere alla perfezione al loro scopo, in una sistematica concepita per essere completa, certa, impeccabile. Salvo poi scoprire che quella Costituzione bella, anzi “bellissima” sulla carta, negli sviluppi quotidiani della politica divide e contrappone, talvolta anche insanabilmente, i soggetti che agiscono nelle istituzioni.
Santi Romano definiva il diritto un «severo e solenne tempio, le cui porte invitatrici non vengono mai chiuse, e che attende sempre nuove pietre e nuove colonne per ingrandirsi e rafforzarsi, ma che non sarà mai difeso abbastanza rigorosamente da tutto ciò che è eccessivamente caduco, o fragile, o volgare».
Eccola, espressa in queste brevi ma significative parole, l’eterna battaglia fra diritto positivo e fatto, fra astrazione e realtà, fra validità ed effettività, fra scienza giuridica e politica. Una battaglia che si consuma giornalmente e che rimette spesso in discussione le Carte costituzionali, nonostante le pretese di rigidità, stabilità o sacralità. Questa natura ibrida del diritto richiede quindi un ripensamento nell’approccio dello studioso, tale da consentire l’assimilazione ragionata dei materiali fattuali costituzionali, specialmente quelli responsabili di mutamenti taciti della forma di governo.
Il rischio, infatti, è la prevalenza delle forze contrarie, constatabile nei periodi di instabilità e crisi politica. Queste, che con una meccanicistica quasi “hobbesiana” si impongono grazie alla sopraffazione, tendono a compiere un lento ma inarrestabile lavoro di discredito della Costituzione, mettendo in dubbio la sua perdurante legittimità e causando un’alterazione silenziosa che spesso oltrepassa i confini giuridici.
Il presente volume, dunque, intende avvalersi degli spunti di riflessione dati da questi fenomeni per tentare di vedere oltre gli enunciati delle norme scritte della Costituzione e fornire una comprensione in chiave evolutiva di un equilibrio di poteri che non è mai uguale a se stesso. Da qui, la necessità di andare “dietro al testo della Costituzione”, andando a conquistare il mondo dei fatti, la cui sorprendente energia cinetica condiziona i lineamenti fondamentali del diritto pubblico, reinterpretando la Costituzione e radicandola nella realtà sociopolitica del tempo in cui vive.
[…] Ci si propone di ricostruire il percorso di evoluzione silenziosa della forma di governo con l’ausilio delle prassi, delle convenzioni nonché delle consuetudini a livello costituzionale e parlamentare, facendo particolare riferimento al caso italiano. Questa triade creatrice di regole è stata spesso interpretata avvalendosi del concetto di fatto normativo, il cui perimetro non ha ancora guadagnato dei contorni netti e sicuri nelle elaborazioni dottrinali.
In che termini, quindi, si va evolvendo il pensiero costituzionale italiano sul tema del rapporto tra il diritto costituzionale scritto e le esperienze fattuali legate alla forma di governo? Per offrire una risposta persuasiva anche a tale interrogativo, questo studio ha preso l’avvio dalla raccolta, analisi e successiva cernita della poderosa mole di materiali che la storia politico-costituzionale italiana ha saputo sviluppare.
In questo contesto, si è potuto apprezzare che mentre si prendeva una decisione assembleare, si teneva un vertice di maggioranza, si deliberava una questione, si procedeva o si decideva di non procedere con riguardo a una specifica situazione, non si risolveva soltanto un caso contingente. In maniera involontaria si stava dando corso, con contributi più o meno rilevanti, a una trasformazione in via materiale, capace di influenzare e persino cambiare il volto di uno Stato.
[…]
A conclusione di questa breve introduzione, non bisogna dimenticare, guardando alla “bidimensionalità” della legge fondamentale, la Wille zur Verfassung, la “volontà di Costituzione” che le forze materiali devono poter sempre possedere come architrave in grado di sorreggere il loro dinamismo: «esiste una rincorsa continua a comporre o ricomporre le eventuali dissociazioni» fra Costituzione formale e materiale.
La “volontà di Costituzione”, in tale ottica, implica un’adesione non solo all’idea di indefettibilità di un corpus giuridico supremo, ma anche al tessuto di principi, valori e credenze consustanziali ai costumi etico-politici vigenti fra i soggetti destinatari della Carta fondamentale. Capire se ed in che misura le più intime componenti delle nostre istituzioni abbiano una tale volontà di Costituzione è forse un obiettivo ambizioso ma, a chi scrive, pare indispensabile per poter giudicare in ultima analisi la tenuta di un ordinamento giuridico.