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Così la schizofrenia italiana prolunga la crisi da Covid

Finora il governo continua nelle stesse politiche del predecessore senza significativi cambiamenti: si attende un grande rimbalzo delle attività produttive nel secondo semestre, forse dopo le vacanze. Molti, invece, si aspettano di vedere che il nuovo premier estragga il coniglio dal cappello. Ma verrà fuori, o finirà come è sempre andato nei tempi duri? L’analisi di Salvatore Zecchini

La ripresa dei contagi cambia lo scenario su cui governi, popolazione ed imprese puntavano per un’uscita dalle restrizioni ed alimenta polemiche e frustrazioni sempre meno contenibili. La terza ondata di contagi a ritmi giornalieri di oltre 20 mila infetti e 400 decessi allontana la prospettiva di un graduale ritorno a una nuova normalità di vita e di attività e rafforza i timori perfino di una quarta ondata con un alternarsi di restrizioni ed allentamenti che non riescono ad abbassare stabilmente la curva di diffusione del virus.

Nel frattempo, la marcia delle vaccinazioni stenta a raggiungere la velocità necessaria per poter fermare le ondate di contagi prima dell’estate, inducendo le autorità a prevedere che il traguardo sarebbe raggiungibile soltanto in pieno autunno.

A più di un anno dall’inizio delle limitazioni non pochi italiani si chiedono come mai si trovano ancora in condizioni così difficili. È facile addossare responsabilità a destra e a manca, dalla penuria dei vaccini alla consueta disorganizzazione nelle misure, alla politica, all’esasperato individualismo di coloro che in nome della libertà assoluta ed intangibile rifiutano di vaccinarsi e al disinteresse verso il benessere degli altri. Si guarda alle singole disfunzioni, ma molto raramente si riconosce che è il sistema Italia in tutte le sue articolazioni è affetto da schizofrenie, incoerenze, steccati invalicabili per ragioni ideologiche, consuetudini frutto dell’insipienza e comportamenti utopici che stridono con le necessità della realtà vissuta.

Basta una breve carrellata sulle vicende che si sono attraversate negli ultimi 13 mesi per accorgersi di quanto non vada nel sistema e come è necessario cambiarlo per uscire da simili difficoltà.

Al primo posto va messa la limitata capacità del governo di impostare una strategia articolata per contenere la pandemia, che si fondi sulle conoscenze scientifiche e l’analisi delle linee di tendenza della malattia in ogni parte del territorio, e tragga da queste la guida per gli interventi opportuni. Questi devono essere coerentemente intrecciati e verificati nella loro efficienza in corso di opera, avendo sempre già predisposto soluzioni di ricambio qualora le prime non funzionassero. Soprattutto navigando su mari incogniti, come è il caso attuale, bisogna avere piani B nell’evenienza che quello seguito non risponda all’obiettivo adeguatamente.

In contrasto, si sono visti interventi adottati in tutta fretta, carenza di soluzioni di ricambio, tentennamenti, lentezze di attuazione con estemporanee difformità sul territorio e soprattutto subordinazione delle misure consigliate dal gruppo di esperti alle esigenze della “politica”. Quest’ultima, con la ben nota invadenza, si è fatta portavoce di interessi di parte o semplicemente di opposizione alle scelte della maggioranza, mentre è in gioco l’interesse generale e il benessere collettivo. In simili situazioni è necessaria una guida unitaria, ferma nel seguire con saggezza i responsi della scienza medica, non prona ai compromessi e alle mediazioni, attenta all’evoluzione della pandemia, rapida negli interventi e nel loro aggiustamento dopo la verifica degli effetti, e soprattutto efficace nell’applicazione.

Un grande ostacolo ad una guida simile è rappresentato dal frazionamento del potere decisorio tra Stato, Regioni e comuni. Le Regioni hanno in più di un’occasione deviato dalle direttive del centro, le hanno talvolta contestate con ricorsi che hanno chiamato in causa procedure e magistratura con l’effetto di ritardare l’esecuzione. L’organo di coordinamento Stato-Regioni ha poi allungato i tempi e richiesto compromessi non desiderabili in così gravi circostanze.

La selva di norme a tutela dei diritti individuali, ma non dei doveri, insieme alla magistratura hanno complicato il quadro, quando taluni, tra cui operatori negli ospedali, hanno invocato il rispetto della propria libertà d’azione nel rifiutare la vaccinazione, o si sono rifiutati di rispettare le limitazioni ai movimenti. Alcune decisioni della magistratura hanno assecondato questi comportamenti in nome di un assoluto legalismo, che paradossalmente travalica il buon senso in una situazione di emergenza. Dal canto suo, il governo ha mancato di intervenire tempestivamente per ovviare legalmente alla pericolosa anomalia, ad esempio introducendo l’obbligo di vaccinarsi e inasprendo le sanzioni. Falle nettamente maggiori si sono riscontrate nella sorveglianza del rispetto delle restrizioni, in particolare nelle grandi città e nelle piccole comunità. Addirittura, nel trasporto pubblico urbano il mantenimento delle distanze e la copertura con adeguate mascherine sono risultati sporadici.

Altro ostacolo sta proprio nel sistema sanitario, che ha evidenziato in che misura il personale medico abbia dovuto sopperire con sforzi inauditi alle carenze organizzative e gestionali dei responsabili delle strutture e del sistema. Ne sono esempi le disfunzioni nella segnalazione dei contagi, nella programmazione ed approvvigionamento delle risorse, nella formazione di banche-dati digitali interoperabili, nel testing, e nella distribuzione dei vaccini. Per migliorare la logistica si è dovuto ricorrere all’Esercito, una struttura centralizzata per colmare le deficienze di un sistema organizzato e gestito su basi regionali. Un sistema che ancora una volta ha messo in luce le disparità di efficienza tra Stato e Regioni, nonché tra le stesse regioni, e ha evidenziato la necessità di centralizzarne la direzione, assegnando alle strutture locali solo compiti di proposta e di attuazione secondo standard prefissati e fatti rispettare sull’intero territorio nazionale. In campi fondamentali per il benessere e lo sviluppo di una nazione, come sanità, istruzione, difesa ed infrastrutture, il sistema accentrato si è rivelato nettamente migliore di quello decentrato nel programmare ed eseguire efficientemente ed efficacemente gli interventi, garantendo minori disparità di trattamento.

Una lezione va anche tratta dalla costatazione che in un’Italia che vanta uno dei migliori sistemi sanitari e dispone di un’industria farmaceutica competitiva non si è ancora sviluppato un vaccino, ma si dipende da altri Paesi. Probabilmente, i tanti fondi pubblici assegnati alla sanità non sono stati allocati nelle giuste direzioni, perché non si è investito abbastanza nella ricerca e nel premiare il merito, come hanno fatto gli Usa e il Ru.

A un anno dalle altalenanti restrizioni si è aggiunta un’ulteriore difficoltà, ossia la stanchezza della popolazione nell’attenersi alle limitazioni anti-Covid, la perdita di attenzione alle misure anti-contagio, l’aumento delle proteste e le richieste di allentamento. La rete di sicurezza stesa dallo Stato da un anno non soddisfa più: ognuno vuol tornare ad agire per sé liberamente. Nel dilemma tra il rischio di soccombere per Covid e quello per crisi economica molti ormai tendono ad accettare il primo come il male minore.

Invero, l’impatto della pandemia è stato devastante, con effetti non ancora del tutto visibili a causa delle misure tampone. Nondimeno si possono già scorgere importanti riflessi su demografia, salute mentale della popolazione, bilancio pubblico e debito, tasso d’indebitamento delle Pmi, occupazione, povertà. Un duro colpo ha subito l’andamento della popolazione per effetto di un eccesso di mortalità del 21% (76 mila) nel periodo di pandemia del 2020, di un calo record delle nascite dal dopoguerra (-3,8% ovvero -16 mila) e del crollo dei matrimoni. In termini tendenziali la pandemia ha accentuato il declino demografico con ripercussioni anche sulla crescita economica futura.

Dopo la caduta del Pil dello scorso anno (8,9%) e con il prolungamento delle restrizioni si sposta in avanti il ritorno ai già modesti livelli pre-Covid, che le ultime proiezioni collocavano nel 2023. Più rapida sarebbe la ripresa delle esportazioni e degli investimenti delle imprese dopo il ridimensionamento rispettivamente del 13,8% e 9,1%. Le prime sarebbe trainate dal veloce recupero dei commerci mondiali, mentre i secondi dovrebbero risentire dei generosi incentivi disposti dal governo. Le prospettive appaiono nettamente più fosche per l’occupazione, che finora ha mostrato perdite contenute (-1,9% in termini di addetti) per via dell’anestetico della Cassa integrazione e dei blocchi dei licenziamenti. Quando saranno allentate le limitazioni, è probabile che le perdite saranno considerevoli, perché a seguito delle riorganizzazioni aziendali solo una parte delle forze di lavoro troverà una facile ricollocazione nelle nuove competenze richieste, mentre il resto dovrà contare sulla creazione di nuovi posti nelle imprese.

Gli indici di povertà danno un’immagine più vivida dell’acuirsi delle difficoltà per la società. L’Istat stima che lo scorso anno ben 335 mila famiglie sono andate ad ingrossare le fila di quelle in povertà assoluta, portando il totale al 7,7% corrispondenti a 5,6 milioni di persone. La situazione è più grave nel Mezzogiorno, anche se l’aumento maggiore è stato al Nord. Naturalmente non bastano gli aiuti pubblici a contenere il fenomeno, ma servono solidarietà collettiva e risveglio dell’imprenditoria. Mentre una gran parte della popolazione soffre per perdite di reddito, disoccupazione e difficoltà finanziarie, si è visto quanto stia a cuore dei più garantiti contribuire alla ripresa e al benessere collettivo, quando i dipendenti pubblici, quali funzionari, insegnanti e magistrati, si sono rifiutati di recuperare parte delle attività perdute per le restrizioni, riducendo i periodi di vacanza e lavorando extra.

A soffrire è anche la salute mentale degli italiani, oltre che di quelli colpiti dal contagio e degli operatori nelle strutture sanitarie. Come attestano le indagini dell’Istituto Superiore di Sanità, stress, ansietà, depressione, disordini mentali, comportamenti aggressivi sono in aumento per la pandemia, mentre i servizi sanitari dei paesi non sono preparati ad affrontare situazioni così estese. Un altro peggioramento dovrebbe derivare dall’aver accantonato negli ospedali i trattamenti necessari per altre patologie al fine di concentrare le risorse sugli affetti dalla pandemia.

Una delle vittime della crisi, di cui la generalità degli italiani non tiene conto, è proprio la finanza pubblica, ovvero il bilancio e il debito. A questa si è dovuto ricorrere per sostenere i più colpiti, tamponare le falle nei servizi, coprire interventi eccezionali operando su entrambi i lati, spesa ed entrate fiscali, il tutto partendo da una situazione già difficile per gli squilibri. Attualmente nessuno è in grado di stabilire come ritornerà in posizioni sostenibili quando si uscirà dalla crisi. Diversi sono gli scenari possibili sulla base di ipotesi probabilistiche, che si scontrano tuttavia con lo stato di grande incertezza ed imponderabilità di molti fattori, a iniziare dall’estensione dell’impatto della crisi.

Quando saranno superate le attuali restrizioni e la pandemia sarà domata, se ne vedranno tutte le dimensioni e gli strascichi. Finora il governo continua nelle stesse politiche del predecessore senza significativi cambiamenti: si attende un grande rimbalzo delle attività produttive nel secondo semestre, forse dopo le vacanze. Molti, invece, si aspettano di vedere che il nuovo premier estragga il coniglio dal cappello. Ma verrà fuori, o finirà come è sempre andato nei tempi duri?

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