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In guerra contro il Covid senza produrre le armi. Il caso italiano

A un anno di distanza dal primo Dpcm che chiuse l’Italia, il Paese è ancora privo della capacità per produrre i vaccini nella quantità richiesta. Si parte ora, ma ci vorranno mesi. Una politica coerente con la retorica della guerra al Covid avrebbe potuto ispirarsi alla politica Usa del 1940: ampliare le fabbriche prima ancora di entrare in guerra. Il commento di Gregory Alegi, giornalista e storico

“Medici in trincea”. “È una guerra”. “La mortalità più alta dalla Seconda guerra mondiale”. Da un anno si racconta la pandemia Covid-19 con la retorica di guerra: una narrativa che spinge l’opinione pubblica a far fronte comune e allinearsi alle decisioni del governo, senza dubbi e dissenso. A questa scelta di comunicazione – peraltro criticata da voci diverse come quelle del giornalista Daniele Cassandro, del filosofo Massimo Cacciari e del gesuita Antonio Spadaro – non sono seguiti comportamenti coerenti con la portata della sfida, tanto che il Covid ha inferto all’Italia enormi perdite umane (100mila vite, secondo posto in Europa) ed economiche (quasi nove punti di Pil, primi in Europa).

Alle severe misure difensive imposte alla popolazione non si sono accompagnate la preparazione delle forze o la pianificazione dell’offensiva, lasciando al nemico l’iniziativa. Il ritardo nella campagna vaccinale e, peggio, la difficoltà di produrre vaccini sono solo le conseguenze più evidenti. Alla guerra, insomma, il governo di Giuseppe Conte non è andato come alla guerra. Si poteva fare diversamente?

AFFRONTARE I PROBLEMI IN SERIE

Pfizer, Moderna, AstraZeneca, e poi Johnson & Johnson, persino Sputnik V e Sinopharm. Dalla primavera 2020 abbiamo imparato a districarci tra nomi, tipo e approvazioni dei vaccini. In compenso, non sembriamo riuscire a usare tutti quelli che riceviamo (tanto che il governo ha deciso di affidarsi al generale Francesco Paolo Figliuolo) e non siamo in grado di produrne in casa per supplire alle consegne inferiori al previsto. Diciamolo: i ritardi di produzione non sono solo italiani. Johnson & Johnson, il cui prodotto unisce efficacia contro le varianti al vantaggio di non richiedere richiamo, si è alleata a Merck per far fronte alla richiesta. E la Russia, il cui Sputnik sembra molto efficace, non riesce a produrre le quantità necessarie per proteggere la propria popolazione e alimentare la propria vaccine diplomacy.

Il problema non è di facile soluzione, perché al di là delle procedure di approvazione la capacità produttiva è un collo di bottiglia. Dal preparare il vaccino a riempire le fiale, le quantità necessarie per vaccinare un intero pianeta, prima in emergenza, poi a intervalli regolari, sono enormi: molto più di quelle disponibili, soprattutto se non si vuole che la produzione di vaccini anti-Covid vada a scapito di quella di altri vaccini e farmaci.

Aumentare la capacità non è però né facile né immediato. Alcuni elementi del processo essi stessi difficili da realizzare. Per costruire un bioreattore – in sostanza, l’enorme contenitore a pressione nel quale avvengono le reazioni biologiche – sono necessari 5-6 mesi, ai quali si aggiungono i tempi di installazione e certificazione. Ordinandoli oggi, non entrerebbero in servizio prima di 8-10 mesi. Secondo Giancarlo Saporiti, titolare della ditta specializzata Samic spa, la costruzione si potrebbe fare in due mesi, lavorando anche di notte, ma per la messa in servizio è necessario che tutti gli altri attori lavorino con altrettanto impegno. Come se fossimo in guerra, appunto.

COSA FECE ROOSEVELT

Nel 1940 gli Stati Uniti non erano ancora in guerra. Prevalevano anzi le posizioni neutraliste, con leggi restrittive che il presidente Franklin D. Roosevelt tentava faticosamente di allentare. Per aumentare la produzione, la sua amministrazione prese tre decisioni cruciali. La prima: abbandonare le gare al ribasso, introducendo il criterio dell’affidabilità del fornitore (fu così, tra l’altro, che la Ford riuscì a entrare nella produzione della jeep, pur avendo perso la gara contro la piccola Willys). La seconda: costruire le fabbriche per affittarle alle società private (tra queste c’è lo stabilimento Lockheed Martin di Fort Worth, che oggi costruisce gli F-35). La terza è la più sconosciuta: ordinare macchinari. Il ragionamento era semplice: pur non sapendo ancora quali tipi di aerei, motori, motori sarebbero stati acquistati, era chiaro cosa sarebbe stato necessario per produrli. Nel dicembre 1940 la Defense Plant Corporation (DPC) iniziò così a ordinare i macchinari che avrebbe poi distribuito alle aziende. Negli anni di espansione frenetica la DPC ordinò macchinari per 1,6 miliardi di dollari, circa la metà del totale americano. Tra 1940-45 i macchinari industriali raddoppiarono.

ALLA GUERRA COME ALLA GUERRA

In una situazione eccezionale, Roosevelt agì con straordinaria lungimiranza, guadagnando un anno prezioso. Accettò il rischio che fabbriche e macchinari restassero inutilizzati, ampliò la capacità produttiva e fece degli Usa l’arsenale della democrazia, in grado di armare sé stessi e i propri Alleati.

Nonostante la retorica di guerra, nulla del genere è avvenuto in Italia contro il Covid. La difesa si è limitata a quella passiva (lockdown, mascherine e così via), la strategia alla gestione dei letti in terapia intensiva, le contromisure alla propaganda (banchi a rotelle, monopattini elettrici e primule). Sui vaccini, i cui prototipi erano stati sviluppati a tempo di record, non si è investito né con ordini “sulla fiducia” (rischiando qualche spreco, sì) né con l’ampliamento delle capacità produttiva. Nessuno, insomma, si è preoccupato di costruire le fabbriche per produrre le uniche armi in grado di combattere il virus.

Nel maggio-giugno 2020 si parlava già della seconda ondata autunnale e gli analisti discutevano del “cambio di paradigma” creato dal Covid. Non si sapeva quale vaccino avrebbe tagliato per primo il traguardo dell’autorizzazione, ma era chiaro che sarebbero stati necessari bioreattori, fiale e siringhe in grande quantità. Com’è possibile che, mentre l’economia si liquefaceva, nessuno abbia pensato di attrezzarsi per produrre vaccini? Forse perché alla retorica della guerra non credevano davvero neppure i politici che la utilizzavano?

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