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A destra più voti che classe dirigente. Il barometro di Arditti

Non basta fare il pieno di voti, se poi ci si ritrova senza gli interpreti in grado di dare seguito alle promesse elettorali. Roberto Arditti legge la radiografia di Swg dell’area politica italiana di cui Silvio Berlusconi fu inventore. Molto forte nelle piazze, molto debole nei palazzi…

Cercasi disperatamente classe dirigente. Il centrodestra vola nei sondaggi, riesce a parlare dritto al cuore del Paese ma si incarta sulla scelta delle candidature per le elezioni comunali nelle principali città. Segno che non basta fare il pieno di voti, se poi ci si ritrova senza gli interpreti in grado di dare seguito alle promesse elettorali.

È una rilevazione Swg a consegnarci un’accurata radiografia dell’area politica italiana di cui Silvio Berlusconi fu inventore. Il centrodestra attuale appare però molto diverso rispetto a quello del 1994, con la sua componente liberale ridotta all’osso e quella sovran-populista diventata predominante. Eppure, al netto dei nuovi equilibri, gli esponenti di governo espressi dal Cdx sono in buona parte ancora gli stessi della stagione berlusconiana. Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta: tredici anni fa erano ministri del quarto governo Berlusconi ed oggi si ritrovano nuovamente nella squadra di Draghi. Si aggiunga poi che quando il centrodestra si è trovato a dover designare delle figure di vertice capaci di fronteggiare l’emergenza pandemica, la scelta è ricaduta su Guido Bertolaso e Letizia Moratti, anch’essi protagonisti di primo piano durante gli anni d’oro del Cavaliere.

Tutto sommato lo stesso vale anche per la Lega, che ha affidato la sua poltrona di maggior prestigio (quella del Mise) al navigato Giancarlo Giorgetti, parlamentare dal lontano 1996 e fautore di una svolta moderata che allontani il partito dal pericolo dell’isolamento istituzionale. Mentre Fratelli d’Italia ha scelto la strada dell’opposizione, rischiando di ricacciarsi nel ghetto della marginalità politica in cui per decenni si sono trovati reclusi i loro “antenati” del Movimento Sociale Italiano e da cui Alleanza Nazionale riuscì ad uscire soltanto grazie alla mano tesa dal Cav.

Insomma, oggi come ieri, il centrodestra di governo prende forma nel segno del berlusconismo. Mentre Salvini e Meloni, entrambi abilissimi nel creare una leadership a prova di social media, sembrano però fare più fatica a costruire una classe dirigente all’altezza della sfida. La pensa così anche una fetta consistente dei supporter del Cdx che indica come principale punto di debolezza della coalizione proprio la carenza di persone valide e competenti (22%).

Una mancanza di volti spendibili nelle istituzioni suffragata dall’ampio “scouting” tra la società civile in vista delle elezioni amministrative d’autunno. Nei capoluoghi chiamati al voto, il centrodestra appare infatti orientato a privilegiare candidature civiche capaci di sopperire all’assenza di una classe dirigente interna ai partiti.

Molto forte nelle piazze, molto debole nei palazzi: sembra dunque essere questo il destino del Cdx. Così, in Italia si assiste a un ribaltamento dei ruoli tradizionalmente interpretati da sinistra e destra. La prima, trasformatasi in nume tutelare della stabilità governativa, fa enorme fatica a sintonizzarsi con gli umori popolari. La seconda, sprovvista di una cultura di governo, riesce però a farsi portavoce delle angosce e dei timori dei cittadini.

La capacità di parlare all’heartland della società, appellandosi al buonsenso della gente comune in contrapposizione alla presunta ipocrisia dell’élite, sembra quindi essere diventata la dote principale del centrodestra. Un talento che viene riconosciuto dai propri sostenitori ma anche dall’elettorato rivale, consentendo di fare il pieno di consensi nelle urne.

I supporter di centrodestra hanno poi ben chiaro quali devono essere i cavalli di battaglia su cui puntare a livello elettorale. A caratterizzare l’odierno Cdx è infatti una piattaforma politica di stampo trumpista, in cui le istanze ultra-liberiste e quelle sovraniste si mescolano

Da una parte troviamo quindi le rivendicazioni storicamente care alla destra, in pieno stile Thatcher e Reagan: meno tasse (48%), burocrazia più snella (40%) e aziende più competitive sui mercati (23%).

Dall’altra ci sono le istanze di natura lepenista che hanno fatto la fortuna dei populisti europei: meno immigrazione (41%) e più sicurezza (25%). Una miscela che finora si è rivelata fruttuosa consentendo di parlare ad una platea elettorale diversificata e di tenere insieme sensibilità eterogenee. Insomma, i dati mandano al centrodestra un messaggio chiaro: i voti ci sono, i temi forti anche ma la classe dirigente è ancora tutta da costruire.

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