Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Da Draghi a Pier Silvio, così cambia la comunicazione. Parla Bentivegna

draghi piano vaccinale

La docente di sociologia della comunicazione analizza la prima conferenza stampa di Mario Draghi, e non solo. “Sul vaccino AstraZeneca, il silenzio non ha influito negativamente”. Berlusconi? “Ha dato corpo alla forza tranquilla di Forza Italia”

“C’è qualcosa che si sta muovendo nel Paese, o tra coloro che fanno politica”, sostiene Sara Bentivegna, sociologa della comunicazione, autrice di numerosi libri sulla comunicazione politica e il web tra cui “Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale” (Laterza, 2019), docente alla Sapienza di Roma, contattata da Formiche.net per analizzare e commentare la conferenza stampa di Mario Draghi, la prima da quando è diventato presidente del Consiglio.

Ma non è certo l’unico evento ad aver smosso le acque della politica italiana, “sono quattro gli eventi importanti”, sottolinea Bentivegna, “l’elezione di Letta alla guida del Pd, il messaggio di Berlusconi nella giornata dedicata alle vittime del covid, il post di Grillo sull’etica dell’informazione e, infine, la conferenza stampa di Draghi”. Tutto si muove, dunque, in un costante divenire di cui ancora non si vedono distintamente i contorni.

Professoressa, partiamo dalla prima conferenza stampa di Mario Draghi. Un bilancio?

La conferenza stampa di Draghi è stata estremamente sobria ed efficace, ha risposto puntualmente e in modo chiaro a quanto gli è stato chiesto, ha anche ammesso di fronte ad alcune domande la complessità del tema trattato e l’impossibilità di dare risposte, cosa abbastanza rara. In realtà, come era chiaro che fosse e così è andata, Draghi non è alla ricerca del consenso o del voto, tantomeno di una ricandidatura, quindi può permettersi un linguaggio e un approccio che non sono propri della dimensione politica, ma che sono più legati ad una dimensione direi quasi manageriale, di risolvere i problemi, e quindi non c’è bisogno di usare tante parole: si esprime un concetto, si dice cosa è stato fatto e cosa no.

Seguendo il “parliamo solo quando c’è qualcosa da dire”?

Esatto, è una comunicazione coerente con quello che ha dichiarato sin dal suo insediamento. “parleremo quando avremo qualcosa da dire”, appunto.

Eppure in questi giorni non sono state poche le critiche per il silenzio da parte di Draghi sulla sospensione momentanea delle vaccinazioni con AstraZeneca, ora ripresa. C’è chi ha detto che avrebbe dovuto parlare, ma è davvero così?

Molto banalmente risponderei, a chi sollecitava un intervento di Draghi: ma che cosa avrebbe dovuto o potuto dire? Si era in attesa di una conferenza, di un pronunciamento di un organismo preposto a controllare i farmaci, quindi il presidente del Consiglio (come chiunque altro) che cosa avrebbe potuto aggiungere? Onestamente penso che avrebbe contribuito ad aumentare il polverone comunicativo senza però aiutare in nessun modo a chiarire la situazione. E aggiungerei un’altra cosa.

Prego.

Se si temeva un crollo delle vaccinazioni, ad oggi non c’è stato e onestamente non mi sembra ci siano segnali in quella direzione. Quindi neanche da questo punto di vista si può accusare Draghi di aver procurato un danno alla campagna di vaccinazione. È stato coerente con la sua linea comunicativa di sobrietà e legata ai fatti. Non a caso la conferenza stampa ieri sera si è tenuta in conclusione del Consiglio dei ministri…

C’è uno schema comunicativo rintracciabile?

Mi pare che sia abbastanza chiaro: si assumono dei provvedimenti, c’è la loro comunicazione e poi il loro commento. Questo è lo schema che ha annunciato, questo lo schema che ha realizzato.

C’è un cambio di paradigma comunicativo? E se sì, in che modo mette in discussione sia i cittadini che il mondo dell’informazione?

Qui il problema di fondo è che dovremmo ripartire dagli interessi e dai problemi che riguardano il sistema giornalistico e mediale. Io sinceramente non credo che i cittadini sentano la mancanza di una comunicazione continua e costante da parte del presidente del Consiglio. Non è vero, e credo che non dovremmo fingere che i cittadini siano interessati alla politica dalla mattina alla sera, anche perché tutte le ricerche condotte globalmente su questo hanno dimostrato l’esatto contrario.

I cittadini non aspettano la conferenza stampa di Draghi?

Una certa parte dei cittadini sì, ma non tutta. Sicuramente il mondo mediale, i soggetti attivisti con un forte interesse nella politica stanno lì ad aspettare, ma alla maggioranza della popolazione non importa. E allora, il silenzio comunicativo danneggia e viene reso ancora più centrale dal sistema dei media, non dai cittadini. Anche perché non ci sono dati a supporto di questo, ma ancora una volta è una interpretazione fatta dal mondo dei media, e qui mi riallaccio anche al post di Beppe Grillo di ieri.

In che senso?

Grillo innanzitutto affronta un corno del problema, quello che lo interessa di più, quello che riguarda i rappresentati del Movimento 5 Stelle che vengono ospitati nelle trasmissioni televisive. Qui il problema di fondo è un certo tipo di copertura dell’informazione che è divisiva, parlo soprattutto dei talk show della politica, che negli ultimi anni è andata sempre di più collocandosi su un versante a dir poco partigiano di una televisione urlata, e allora la vera questione è: perché è accaduto?

E la risposta qual è?

Noi studiosi diciamo che è accaduto perché ovviamente in un mercato in cui c’è una grandissima competizione tra le emittenti bisogna catturare l’audience a tutti i costi, e quindi per catturare l’audience si possono fare risse, insulti, urlare, invitare sempre soggetti che si sa essere provocatori. Allora partiamo da questo, perché è un tema che non riguarda solo i rappresentanti del Movimento 5 Stelle. Nessuno dovrebbe essere messo nella condizione di non poter esprimere compiutamente un pensiero. L’interruzione, lo scontro, l’attacco, l’insulto sono diventate delle vere e proprie strategie comunicative da parte tanto dei media che dei politici. Trump ci ha costruito tutta la sua politica, sull’insulto e non è l’unico, però.

In Italia si è iniziato forse con Grillo…

Beh, Grillo ha fondato un partito con il “Vaffa”, grido di battaglia identificativo, ma gli stessi grillini che si sono presentati in Parlamento con la scatoletta di tonno e l’apriscatole. Non una mancanza di rispetto per il Parlamento, una forma di inciviltà? Perché dovrebbe essere consentito? E poi, per fare un altro esempio, anche Salvini che chiede al citofono: “Lei  uno spacciatore?”, sono tutti eventi diventati fortemente notiziabili per cui i soggetti politici li mettono in atto, perché sanno che avranno una copertura mediatica significativa, che talvolta si trasforma nel rafforzamento dell’identità politica: nel caso di Salvini l’immigrazione, nel caso di Grillo l’anticasta.

La scelta di un profilo basso da parte di Draghi e da parte dei componenti del governo che, ad oggi, si sono attenuti a questo schema, può avere effetti anche sulla comunicazione dei politici e della politica?

È ancora presto per dirlo, ma certamente continua al momento questo low profile condiviso dal presidente e dai ministri. Però già ieri e oggi abbiamo visto che iniziano a partire stilettate tra Salvini e Letta, quindi i soggetti che animano il panorama politico italiano continuano le loro battaglie di presenza e anche identitarie, come sempre. Poi il discorso è diverso per il governo.

A cosa si riferisce?

Nel governo c’è un accordo tacito tra tutti i soggetti a lavorare senza fare troppe polemiche. Fuori, però, i leader politici di tutte le formazioni, anche presenti nel governo, continuano, a mio avviso anche sensatamente, a portare avanti le loro battaglie per cercare di realizzare le loro strategie politiche. Certo, devono stare attenti ad evitare di creare poi tensioni al governo, però finché è un dibattito all’esterno mi sembra totalmente compatibile.

A proposito di leader e di immagine politica, cosa raccontano, invece, i vari messaggi video di Berlusconi, così come gli auguri per la festa del Papà fatti da suo figlio Piersilvio su diversi quotidiani?

Paradossalmente, Berlusconi si pone e si propone come la continuità rispetto agli ultimi 20-30 anni. Il messaggio dell’altro giorno nel suo studio è la versione moderna vent’anni dopo del messaggio della sua discesa in campo. Da una parte c’è una grande forza nella continuità, poi nei fatti lui e Forza Italia si pongono un po’ come l’elemento che vuole calmierare le tensioni nel centrodestra, essere la forza tranquilla, e Berlusconi ha dato corpo a questa rappresentazione, del partito e di sé.

Cosa l’ha colpita, del videomessaggio?

Mi ha colpito la foto del simbolo del partito alle sue spalle, che in passato non c’era, ma perché oggi deve sgomitare per esserci rispetto agli altri.

Ha citato la discesa in campo di Berlusconi nel lontano ’94. Si è parlato di una discesa in campo di Conte il giorno della conferenza stampa davanti a Palazzo Chigi dopo le dimissioni da presidente del Consiglio. Cosa ha rappresentato?

Dal punto di vista politico non si sa ancora che forza guiderà né tantomeno con quale identità, quindi questa parte la lascerei in sospeso finché non ci sarà maggiore chiarezza. Riguardo invece la conferenza stampa fuori da Palazzo Chigi c’è stata la rappresentazione plastica del dentro-fuori dal palazzo. Diciamoci la verità, si sarebbe potuta fare in qualsiasi altro luogo, invece la scelta di farla proprio davanti a Palazzo Chigi manifesta il tentativo di restare in contatto con i cittadini pur essendo uscito dal palazzo. L’ho trovata efficace per un soggetto che deve costruire un suo seguito elettorale.

Per chiudere, invece, malgrado sia ancora solo l’inizio: come valuta la postura comunicativa del nuovo segretario del Partito democratico, Enrico Letta?

Anche qui, abbiamo bisogno di tempo tutti, lui innanzitutto, per comprendere a cosa si legherà una comunicazione agile e veloce con i social media, che è stata immediata a coprire tutti gli spazi possibile,  e poi a cosa porterà. Quale capacità avrà di portare avanti una battaglia identitaria per il Partito democratico? Il Pd oggi ha un problema profondo, sempre di identità. I luoghi li abbiamo individuati e in qualche modo occupati, adesso tocca al passaggio successivo e per capire cosa verrà fuori, ripeto, serve un po’ di tempo. Ma secondo me, una strada Letta l’ha indicata.

Ius soli e voto ai sedicenni?

Esatto. Nel corso del suo discorso all’Assemblea Pd, Letta ha indicato questi due temi su cui il Pd può fare campagna e dare battaglia, anche identitaria. Sono temi esterni al governo, sono rivolti al Paese e bisogna vedere se saranno  quelli su cui si prenderà la parola e si costruiranno battaglie su tutti i media che lui presidia.

×

Iscriviti alla newsletter