Se la spy story italo-russa fosse accaduta due mesi fa, con Conte e Bonafede, ci saremmo dovuti preoccupare. Ora (per fortuna) con Draghi la musica è cambiata
Ipotizziamo che la spy story che vede coinvolti un ufficiale della Marina militare italiana e un militare russo si fosse verificata due mesi fa. A giudicare dai precedenti, probabilmente, avremmo avuto di che preoccuparci.
Basti pensare al caso di Alexander Korshunov, magnate russo accusato di spionaggio industriale ai danni della Avio Aero (GE Aviation) e arrestato su mandato statunitense dell’Fbi, che l’estate scorsa l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede scelse di “restituire” alla Russia.
Oggi, invece, abbiamo assistito a un qualcosa di diverso che lascia pensare a un cambio di postura. Che si realizza a un anno di distanza dalla sfilata dei militari russi concordata in una telefonata tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente russo Vladimir Putin. Senza dimenticare gli aiuti “From Russia with love” che hanno avuto grande risalto sui media nostrani, come rivelato da Formiche.net. La campagna di infodemia denunciata anche in un rapporto del Copasir. L’avvelenamento del dissidente russo Alexey Nalvany che ha portato a sanzioni coordinate tra Stati Uniti e Unione europea contro alcuni funzionari di Mosca. E, più recentemente, la propaganda sul vaccino Sputnik V – un’arma geopolitica – su sono scivolati in molti, compreso l’ex segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti.
La risposta è stata immediata. Luigi Di Maio – che la scorsa settimana a margine della ministeriale Nato è stato il primo ministro degli Esteri europeo a incontrare in un bilaterale il segretario di Stato americano Antony Blinken mentre ieri era all’incontro della coalizione anti Isis – ha definito quanto accaduto “un atto ostile di estrema gravità”. Ha comunicato all’ambasciatore russo Sergey Razov l’espulsione immediata dei due funzionari russi coinvolti nella vicenda. E durante una comunicazione al Senato ha spiegato che Russia e Cina “sono attori che hanno sistemi politici e valori diversi dai nostri”, da cui “provengono anche sfide, e talvolta minacce. Lo dimostrano le accuse di spionaggio nei confronti degli ufficiali italiani e russi”, ha aggiunto ribadendo la collocazione geopolitica italiana – europeista e atlantista – ma anche l’impegno a “salvaguardare i nostri interessi fondamentali, che richiedono di mantenere un’interlocuzione critica ma costruttiva con la Russia e la Cina”.
Non si può non notare come il valore della libertà e il posizionamento dell’Italia nel solco delle democrazie siano stati la stella polare di due recenti interventi di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, che ha parlato oggi su Big Pharma ospite dell’AmCham e ieri di Big Tech durante un evento del Centro economia digitale.
Certo, non sfugge a nessuno – al presidente del Consiglio Mario Draghi, ai ministri Di Maio e Giorgetti né agli osservatori – che i legami tra Italia e Russia affondondo le radici in tempi lontani, quando ancora c’erano l’Unione Sovietica e la Cortina di ferro.
Chiunque oggi immagini una rottura diplomatica commette un errore che certamente il governo Draghi e la nostra diplomazia non intendono compiere.
Dall’altra parte, però, c’è un rischio: quello di finire sedotti dalle parole di chi sostiene la necessità di sottrarre la Russia della mani della Cina e di chi crede che l’Italia possa giocare un ruolo centrale nella distensione tra Stati Uniti e Russia. Entrambe le tesi – per quanto suadenti e talvolta ben argomentate – poggiano su basi eteree. Oggi più che mai, visto che attraversiamo una fase storica in cui – con l’avvento della nuova amministrazione statunitense guidata da quel Joe Biden che non si è fatto molto problemi a definire Putin “un assassino” – i diritti umani sono tornati a essere tema di politica estera acuendo lo scontro tra democrazie e regimi autocratici.
L’Italia ha e manterrà un dialogo con il Cremlino – come tanti altri Paesi europei, ma essendo probabilmente un po’ meno esposta della Germania della cancelliera Angela Merkel con il gasdotto Nord Stream 2.
Ma deve arrivare forte il messaggio a Washington come a Mosca, a Berlino come a Parigi , che le ambiguità registrate durante i due governi Conte non appartengono più alla postura dell’Italia. Tanto più sotto la guida di Draghi.
La cronaca di queste ore ci dice questo e ci rincuora. Non sappiamo se una rondine fa primavera ma oggi il cielo di Roma è terso e osservare le rondini ci mette di buon umore.