Lo storico ed economista della Statale, già nel Cda di Eni: l’assoluzione per il caso Nigeria è una vittoria dello stato di diritto, finalmente si capisce la differenza fra mediazione e tangente. Contento per Descalzi, mai dubitato della sua onestà. Oggi abbiamo la prova che aziende strategiche si possono difendere con la legge, senza manine statali che lasciamo ad altri
Una sentenza che “fa scuola”. Per Giulio Sapelli il verdetto di assoluzione che ha concluso il primo grado del “processo del secolo” contro Eni e Shell per una presunta maxi-tangente in Nigeria è “una vittoria dello Stato di diritto”. Storico ed economista della Statale di Milano, Sapelli conosce bene il cane a sei zampe: siede nel Cda della Fondazione Eni Enrico Mattei e in passato ha fatto parte del Cda di Eni.
Professore, per la Corte d’Assise di Milano “il fatto non sussiste”.
Questa sentenza è una medaglia per l’Eni e per persone come Scaroni o Descalzi della cui onorabilità non ho mai dubitato. E uno schiaffo a quei giornali che hanno fatto un massacro di Eni, dei suoi dirigenti, dell’industria petrolifera tout court.
I giudici hanno accolto la tesi difensiva. Eni e Shell non possono rispondere di accordi illeciti fra personaggi esterni alle loro società.
È ovvio. Questa sentenza è essenziale perché chiarisce quali sono i termini in una trattativa sulle materie prime fra un capitalismo estrattivo, in questo caso rappresentato da Eni e Shell, e uno locale.
Ovvero?
C’è una grande ignoranza su come funziona il circuito delle mediazioni. Quando si fanno affari nel mondo energetico bisogna pagare una mediazione. Sono stato presidente dell’Audit Committee di Eni per molti anni, all’epoca stabilimmo un regolamento per decidere come e quando pagare una mediazione o ricevere regali dalla persona con cui trattavamo. Qualsiasi offerta doveva essere presa per non fare in modo che l’affare cadesse, ma doveva altresì essere registrata e consegnata all’azienda.
Insomma, non è una questione di legittimità ma di trasparenza.
Esatto. Anche all’epoca era tutto sotto la luce del sole, tanto che organizzavamo feste con i dipendenti per donare regali ai figli.
Torniamo al caso Eni-Shell.
L’ex ministro del petrolio Dan Etete ha preso una parte della mediazione versata da Eni e Shell sul conto del governo nigeriano? Bene, la responsabilità è dello Stato nigeriano, non delle aziende. È ora di finirla con questa declamatoria sulle mediazioni. La tangente, se c’è stata, è del soggetto politico che, una volta ricevuti i soldi sul conto ufficiale del govenro, ha deciso di distribuirli ad altri. Qui emerge un’ignoranza diffusa sulla definizione di corruzione.
Cioè?
Sono stato presidente di Transparency International, ho studiato la scuola nordamericana della lotta alla corruzione. Questa scuola, che è sottesa ormai a cinquant’anni di lotte delle grandi corporation anglosassoni, ha diffuso falsi allievi, imitatori improvvisati senza le competenze per capirla, e una parte della stampa italiana ne è la prova.
Otto anni di processo, i danni restano. E non è la prima grande azienda del Paese che esce assolta da un’odissea giudiziaria.
La lista è lunga. Penso a Finmeccanica e all’ingegner Guarguaglini, colpiti da un processo ingiusto. Ma questa sentenza resta un segnale importante, qualcosa sta emergendo. Si cominciano a conoscere le regole del corporate crime e di come bisogna indagarlo.
In altri Paesi la politica interviene a difesa delle aziende strategiche. L’Italia cosa può fare di più?
Noi dobbiamo andare fieri che qui lo Stato di diritto venga prima dello Stato. Ben venga se si è riusciti a smontare un teorema in un’aula di tribunale, senza interventi politici. La giustizia si ottiene nel processo e attraverso di esso, è lì che si invera lo stato di diritto, non nell’ingerenza del potere sovrano.
Giustizia a parte, queste aziende sono state esposte pericolosamente ai venti della pandemia e la loro capitalizzazione ha subito un crollo. Il nuovo golden power è sufficiente per difenderle da mire esterne?
Io penso di sì. E comunque meno leggi si fanno, meglio è. Quel che davvero protegge un’azienda strategica è l’autorevolezza e l’efficacia dello Stato, e la certezza dello Stato di diritto. Lo statalismo lo lasciamo ad altri.