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Facebook taglia il cavo con Hong Kong, strattonata da Pechino

Facebook annuncia lo stop alla realizzazione di un cavo sottomarino tra Usa e Cina. È il terzo caso in sei mesi e dimostra che ormai Washington non considera più Hong Kong un porto affidabile

Facebook ha scelto di interrompere la realizzazione del cavo sottomarino Hong Kong-Americas (Hka) che avrebbe collegato la California e l’ex colonia britannica. “A causa delle continue preoccupazioni del governo degli Stati Uniti circa i collegamenti di comunicazione diretta con Hong Kong, abbiamo deciso di ritirare la nostra richiesta alla Federal communication commission”, ha dichiarato al Wall Street Journal un portavoce del colosso fondato da Mark Zuckerberg. Lo stesso ha sottolineato anche che l’azienda è impegnata a riconfigurare il progetto per soddisfare le preoccupazioni del governo di Washington. Che sono legate, in particolare, alla stretta su Hong Kong decisa negli ultimi mesi da Pechino e sancita durante la recente Assemblea nazionale del popolo (come ha spiegato Francesca Ghiretti, esperta dello Iai, su Formiche.net).

IL PROGETTO

Il progetto Hka è stato lanciato nel 2018 da un consorzio di aziende: oltre a Facebook, figurano la cinesi China Telecom e China Unicom, la statunitense Rti express, l’indiana Tata communication e l’australiana Telstra. Nello stesso anno fu firmato un contratto di fornitura tra il consorzio e la francese Alcatel Submarine Networks. Il cavo si compone di un “tronco principale” che collega Chung Hom Kok (Hong Kong) e Hermosa Beach (Los Angeles) e di tre diramazioni: quella per Toucheng (Taiwan), quella per Manchester (California) e quella per Hermosa Beach. Facebook possiede due coppie e mezzo di fibre del “tronco principale”, quattro del ramo Toucheng, due di quello Manchester e due e mezzo di quello Hermosa Beach. In pratica, Facebook avrebbe il controllo sui dati che “sbarcano” negli Stati Uniti.

NON È LA PRIMA VOLTA…

È la terza volta in sei mesi che Facebook fa un passo indietro da un progetto di cavo sottomarino per collegare Stati Uniti e Cina. A settembre era capitato con il Pacific Light Cable Network assieme a Google (da Los Angeles a Hong Kong): ora si sta cercando una soluzione che non coinvolga territori cinesi, come riportava il Wall Street Journal. Ma anche con il Bay to Bay Express Cable da realizzare assieme ad Amazon (da San Francisco a Hong Kong).

PECHINO, HONG KONG È PIÙ VICINA

Se la scelta di questi giorni arriva dopo le ultime – definitive? – strette cinesi sull’ex colonia britannica, quelle di settembre seguirono le raccomandazioni del dipartimento di Giustizia alla Federal communication commission sulla base dell’assertività di Pechino e le dichiarazioni dell’allora segretario di Stato Mike Pompeo che, annunciando l’allargamento dell’iniziativa Clean Network, aveva definito i cavi sottomarini un’opportunità di “ingresso” nei sistemi statunitensi per l’intelligence cinese. Il che non fa che confermare come ormai Hong Kong non sia più ritenuto dagli Stati Uniti un porto affidabile.

LE MOSSE SOCIAL

A luglio, dopo la decisione di Pechino imporre su Hong Kong una nuova legge sulla sicurezza definita liberticida dagli attivisti pro democrazia, diverse aziende tra cui Facebook, Google e Twitter avevano deciso di non rispondere più alle richieste di informazioni sui propri utenti da parte del governo e delle autorità dell’ex colonia britannica, per rispetto della libertà di espressione. I colossi tech sono davanti a un bivio, ben sintetizzato dal Wall Street Journal: se le autorità chiedessero loro di cancellare profili o contenuti, potrebbero creare scontento nel mondo, a partire dagli attivisti pro democrazia che usano le loro piattaforme per far sentire la loro voce; se rifiutassero, però, potrebbero essere perseguite. A decidere, sottolineano gli analisti, potrebbero essere i conti: le entrate da Hong Kong per le piattaforme social sono “insignificanti”, spiega il Wall Street Journal. E il rischio sarebbe un’accelerazione verso la disconnessione tra Occidente e Cina, ipotesi che gli Stati Uniti non escludono anche come contromisura all’ascesa tecnologica di Pechino.


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