Per Younis Tawfik siamo a qualcosa di enorme. A Ur sarà come se si firmasse tutti insieme quello storico Documento sulla Fratellanza umana che il papa e al-Tayyeb hanno sottoscritto ad Abu Dhabi
Nato a Mosul, lo scrittore Younis Tawfik sa bene che il suo nome deriva dall’amore dei suoi genitori per Giona (Younis in arabo), profeta o santo comune ai tre monoteismi. Così quando i terroristi dell’Isis distrussero a Mosul la moschea di Giona, dopo aver assassinato suo fratello prima di conquistare la città, ha sentito che in quel momento tentavano di sradicare dal mondo anche un pezzo di lui, della sua identità. Sunnita, già membro della Consulta islamica, Tawfik è venuto in Italia tanti anni fa, trasportato dal suo irrefrenabile amore per Dante, che lo obbligava a conoscere, leggere, parlare italiano, per meglio vivere e penetrare la sua poesia. Così oggi, mentre il papa parte per il suo Iraq, dove visiterà anche la sua Mosul, la prima cosa che dice è “di non condividere la decisione del papa: è un passo troppo rischioso per lui, prodotto del suo amore per l’uomo. Dobbiamo dirgli grazie di questo azzardo incredibile, eccessivo, l’azzardo di un uomo che crede davvero in quello che dice e che fa. Per lui è evidente che siamo proprio fratelli tutti. Ma se avessi io la parola decisiva gli avrei detto, “Padre Santo, aspetti ancora un po’, la prego”.
Ma la scelta del papa è presa, e Tawfik con emozione la collega alla sera del 27 marzo: per lui infatti c’è un nesso profondo tra questo viaggio e quella sera, la sera in cui Bergoglio solcò da solo piazza San Pietro per unirci tutti “nella stessa barca” contro il male della pandemia. “Siamo in lotta contro il male e non possiamo che combatterlo insieme. Non ci sono untori, ma vittime, fratelli, amici che si devono unire nel tentativo di remare insieme per salvarci insieme da una pandemia che è la sifda del male, anche quello che abbiamo causato con atteggiamenti e comportamenti irriguardosi dell’ecosistema e dei suoi equilibri. Come la pandemia è un male che tutti ci sfida e ci unisce così anche in Iraq vediamo il male che tutti ci sfida e ci dovrebbe unire. È un altro volto dello stesso male che produce atteggiamenti e comportamenti irriguardosi dell’uomo, dei miei fratelli cristiani o yazidi come di tanti altri. È per questo, io penso, che va proprio a casa mia, a Mosul. E vorrei tanto dirgli che come tantissimi iracheni di ogni fede, di ogni etnia, anch’io mi sono unito a quella gigantesca catena on line nella quale, uno dopo l’altro, tantissimi iracheni pubblicano una loro fotografia con su scritto “io sono iracheno e do il benvenuto a Papa Francesco”. Anch’io sono iracheno e anch’io ho voluto dargli il mio benvenuto, colmo di emozione e di gratitudine. Ma anche se gli sono grato non avrei voluto che rischiasse così tanto per noi. Questo viaggio è davvero pericoloso per la sua sicurezza, ma vedo, sento che lui lo affrontata con l’incoscienza cosciente dell’uomo di pace, che incanta e commuove”.
I familiari di Younis Tawfik, ovviamente tutti sunniti, negli anni dell’Isis hanno sofferto pene terribili e quotidiane a Mosul. Dopo aver testimoniato il suo dolore per l’assassinio del fratello ed altre ferite, lui, Younis, adesso non vuole parlare di quei giorni tremendi, vuole parlare del messaggio contro il male che arriva dalla sua terra: “Io penso che nei prossimi tempi -per via di questa pandemia- molti riscopriranno la fede, quella che ti consola, ti conforta in tanto dolore. E potrebbe essere questo il messaggio di pace che arriverà dall’Iraq. La fede conforta, consola, non strazia, non prevarica, unisce i fratelli, tutti figli all’unico Dio. Purtroppo so bene che anche personalità in vista del mio Paese diffondono in queste ore un messaggio falsificatorio. Ho letto che scrivono che Bergoglio verrebbe nel nome di un complotto americano ordito per consegnare il nostro Paese all’Iran. Non riescono a capire che andare a Najaf, la città santa sciita che non ha mai accettato la svolta teocratica, ci dice proprio il contrario. Sono più consapevoli della realtà quelle milizie del fanatismo terrorista, verosimilmente legate ai pasdaran, che in questi giorni bombardano le basi americane vicino a Baghdad: la loro ideologia settaria, come tutte le ideologie settarie, ha paura di questo viaggio, lo teme, perché ne coglie la forza. Ne hanno paura questi ambienti di un estremismo come ne ha paura all’estremo opposto, l’Isis, e io vedo nell’incontro con l’ayatollah al Sistani a Najaf un qualcosa di paragonabile all’incontro con lo sceicco sunnita al-Tayyeb nella grande sede dell’Università di al-Azhar. Siamo a qualcosa di enorme per la fratellanza e subito dopo la visita a Najaf l’incontro di Ur lo renderà non solo iracheno, ma universale. A Ur sarà come se si firmasse tutti insieme quello storico Documento sulla Fratellanza umana che il papa e al-Tayyeb hanno firmato ad Abu Dhabi. È per questo che per la prima volta nella storia si illumina la Ziggurat di Ur costruita lì dove è nato il padre comune, Abramo. Non è mai successo, questo deve essere chiaro. Sì, si può immaginare che nel fondo di molti da sabato le tenebre che hanno avvolto la vita di tanti iracheni per così tanti anni si offriranno come luce per la fraternità. E io credo che la delegazione dei pochi ebrei rimasti in Iraq potrà partecipare all’incontro. L’Iraq di oggi non è più quello di tanto tempo fa. Oggi a differenza di quanto decise Saddam Hussein, ad esempio, non solo non si impedisce al papa di visitare l’Iraq, scelta che fece Saddam addolorando profondamente Giovanni Paolo II, oggi si punta su questo viaggio. Le imponenti misure di sicurezza che si preannunciano ne sono la riprova”.
È talmente sicuro della sua visione Tawfik da dirsi convinto che dopo Abu Dhabi, Najaf e Ur il papa possa pensare di tornare a Gerusalemme, per chiudere il cerchio abramitico della fratellanza. Ma intanto c’è la grande missione irachena da avviare e compiere, alla quale guarda con l’emozione incredula di un musulmano che si tale perché prima essere umano, e quindi rapito dalla profezia di Bergoglio: fratelli tutti. “Si questo viaggio è un’enciclica”.