Il professor Massimo Borghesi firma un volume, “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ‘ospedale da campo’” (Jaca Book) dove analizza e spiega il cattolicesimo del papa nel contesto di una grande storia. E di un “capovolgimento indotto”. Tra le figure fondamentali spicca quella di un teologo americano, Michael Novak e di altri teologi conservatori. Riccardo Cristiano lo ha letto per Formiche.net
C’è un libro da leggere, comune se fosse un romanzo. E forse è un romanzo, tipo i Buddenbrook, o i Fratelli Karamazov, un grande affresco su una grande famiglia, la sua storia recente, i tradimenti e le gelosie, le incomprensioni e le bugie, le divisioni e i conflitti: insomma il senso di quella storia, di questa famiglia. E di chi oggi è chiamato a salvarla.
Questo libro lo ha scritto il professor Massimo Borghesi e si intitola “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ‘ospedale da campo’” (Jaca Book, 2021). Dopo averci aiutato a conoscere e capire il pensiero filosofico di Francesco, la sua visione fondata sull’opposizione polare che consente di valorizzare la tensione, Borghesi torna a spiegarci il cattolicesimo di Francesco nel contesto di una grande storia. E di un “capovolgimento indotto”. Tra le figure fondamentali infatti spicca quella di un teologo americano, Michael Novak, insieme ad altri ovviamente. Il sogno di molti è quello di diventare papa senza esserlo. È un vizio che accompagna i giornalisti, una speranza che coltivano gli interpreti, anche teologi, di ogni pontificato. Novak è uno di quelli che sembra proprio esserci riuscito e il professor Massimo Borghesi ha il grande merito di spiegarci con accuratezza e dettagli perché.
Per stare in un campo da recensione, giornalistica e quindi superficiale, possiamo dire che Novak è riuscito a trasformare un’enciclica di Giovanni Paolo II, nell’opposto di sé. Parliamo di un’enciclica molto importante, la “Centesimus annus”, che seguì il crollo sovietico, cioè del collettivismo e del marxismo praticato, il cosiddetto “socialismo reale”. Con un lavoro esegetico tutto fondato su una frase, che Borghesi enuclea e presenta, Novak riuscì a rendere quell’ enciclica non quello che era, ma quello che lui voleva che fosse: la rottura della dottrina sociale della Chiesa, l’accettazione del capitalismo, del liberismo, della teoria del mercato quale figlio prodigioso, capace di autoregolamentarsi. Non era così: “L’immagine dello Stato e della società proposti dall’Enciclica faceva chiaramente riferimento al Welfare State, il modello che Novak e i neoconservative rifiutavano. Così come non potevano non rifiutare quanto Giovanni Paolo II affermava nel terzo capitolo dedicato a L’anno ‘89: ‘La crisi del marxismo non elimina nel mondo la situazione di ingiustizia e di oppressione, da cui il marxismo stesso, strumentalizzandole, traeva alimento. A coloro che oggi sono alla ricerca di una nuova e autentica teoria e prassi di liberazione, la Chiesa offre non solo la sua dottrina sociale e, in generale, il suo insegnamento circa la persona redenta in Cristo, ma anche il concreto suo impegno ed aiuto per combattere l’emarginazione e la sofferenza’. Giovanni Paolo II auspicava, quindi, dopo la caduta del comunismo, l’affermazione di un’autentica teologia della liberazione libera dal marxismo ma non per questo meno impegnata nella lotta per la giustizia”. Sembra proprio la teologia di cui parla Francesco.
Poche righe dopo il professor Borghesi ci ricorda che nell’enciclica Giovanni Paolo II, in termini non molto diversi da quelli che si leggono in “Fratelli tutti” e che hanno spinto molti commentatori a parlare di “papa comunista” riferendosi a Francesco, scriveva che “la Chiesa insegna che la proprietà privata dei beni non è un diritto assoluto” richiamandosi a testi famosi come Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis. Giovanni Paolo II andava oltre, vedeva il “rischio di un’idolatria del mercato” e definiva “inaccettabile l’affermazione che la sconfitta del cosiddetto socialismo reale lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione” e argomentava – forse sorprendentemente per alcuni – che sebbene riduttiva ed errata la teoria comunista dell’alienazione nel mondo capitalista merita attenzione.
La storia dell’interpretazione che ha capovolto questa enciclica post-sovietica, quindi importantissima per l’orientamento del mondo dopo il muro, dovrebbe essere chiara a tutti, visto che è entrata talmente tanto dentro di noi da averci indotto a definire comunista e non “tradizionalista” la parte economica di “Fratelli tutti”. Tutto sommato Giovanni Paolo II riprendeva, aggiornandolo, il pensiero tradizionale della dottrina sociale della Chiesa.
Questo lungo e affascinante capitolo sull’inizio del “pontificato Novak”, va letto per capire il prosieguo della storia, alcune reali novità soggiunte con Benedetto XVI ma anche altre persistenti forzature in materia economica e internazionale, e anche le ricadute italiane. Ma la frase decisiva sul “pontificato Novak” è quella che a mio avviso introduce un seme nichilista nella “dottrina cattolica” trasformata da Novak e dai suoi colleghi di percorso. È questa, subito enucleata e presentata nel volume, in modo da farci capire, sapere, citando Novak: “Non sembra contrario al Vangelo che ogni essere umano lotti, spinto alla competizione con i suoi simili, per realizzare tutte le sue potenzialità”. Leggere il grande René Girard, la sua teoria della violenza mimetica basata proprio sull’istinto concorrenziale, e poi, grazie a Massimo Borghesi, Novak, aiuta a capire molto. Soprattutto se si segue bene questo passo, sempre relativo al catto-capitalismo di Novak, ancora citato così: “Nessuno aveva valorizzato tanto la singola persona [quanto il capitalismo]”. Commenta Borghesi: “Nessuno, quindi nemmeno la religione cristiana, dunque. La fede e l’etica cristiana non modificano la forma dell’economia, non svolgono una funzione nel disciplinare gli ‘spiriti animali’, nel promuovere forme di solidarietà e di equità”. Dunque si capisce perché Massimo Borghesi possa riassumere: “La Chiesa del mondo opulento si distacca profondamente da quella immersa nell’universo dei poveri […] Attraverso Novak il modello etico-economico della scuola austriaca, avversa al Welfare e al solidarismo in materia economica, colorato da venature nietzschiane, diveniva normativo per la visione cattolica della società”. Ecco perché Francesco è stato definito comunista, eretico ed altro: perché si era trasformata la dottrina sociale della Chiesa attraverso un’ideologia.
Che anche Francesco proponga una teologia della liberazione senza marxismo appare oggi evidente, ma se il pontificato di Giovanni Paolo II ha molto da dire ai conservatori che lo hanno capito – giustamente o ingiustamente conta poco – come il “loro papa”, Francesco ha molto da dire ai progressisti, che lo hanno scelto – giustamente o ingiustamente – come il “loro”. Come la Centesimus annus “reimposta” l’idea di mondo dopo la caduta del muro di Berlino, il primo documento pontificale di Francesco, la Evangelii Gaudium, reimposta l’idea di mondo dopo l’inizio del Terzo Millennio e la crisi della globalizzazione. Qui il volume è ricchissimo, puntuale, stupefacente per sintesi e precisione. Perché Bergoglio non si limita a tagliare l’erba sotto i piedi dei capovolgitori della dottrina sociale della Chiesa, chiarendo che non ha senso illudersi che il mercato sappia autoregolamentarsi e che “le teorie della ricaduta favorevole, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una grossolana fiducia e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare”.
Il testo diviene affascinante, a tratti anche divertente, o angosciante. I teocon capiscono che correggere o capovolgere Francesco gli sarà impossibile, perché lui intende chiarire il capovolgimento da loro operato. Così attaccano. E Novak fa la sua: “Leggendo la nuova esortazione apostolica di papa Francesco e rivisitandola con quella particolare attenzione al linguaggio che può avere un orecchio americano, sono rimasto anch’io colpito, sulle prime, dalla faziosità e dalla infondatezza di cinque o sei frasi del pontefice”. È interessante notare che tra queste si citi la necessità di un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano. Parole che Borghesi spiega anche con una citazione dell’ex presidente del Senato Marcello Pera che mi ero perso e che per fortuna ho così recuperato: “Più che dittature e colpi di Stato militari, io non ricordo molto altro nell’America del Sud”. Marcello Pera era stato tra i principali interlocutori del progetto culturale del cardinale Ruini, progetto nel quale probabilmente non portò tesi robuste sulla letteratura sudamericana.
Ricordare quel progetto e leggere del Bergoglio che promuoveva le unione civili per omosessuali in Argentina – senza diritto all’adozione – lo fa apparire un gigante della fede non giudicante e dei diritti oggi, capace di risolvere questioni che appaiono insolubili solo perché prevalgono gli opposti estremismi. Qui è decisiva la citazione dell’intervista a padre Antonio Spadaro in cui Francesco spiegava che le famose questioni etiche vanno poste in un contesto. Questo contesto credo sia quello del discernimento da una parte e del rifiuto della cultura dello scarto dall’altra. Cosí è proprio in queste pagine che emerge la lezione pasoliniana che a mio avviso Francesco propone ai “progressisti”.
Per Pasolini infatti la stagione dei diritti civili aveva il suo grande valore sociale davanti al clerico-fascismo, cioè a blocco di potere che il Concilio Vaticano II ha cancellato. Archiviato quell’ordine è emerso un nuovo potere, quello consumista. Davanti a questo nuovo potere che accetta ogni condizione privata, di separazione, di divisione, di unione, di scarto, nel nome del consumo, la priorità per il cambiamento auspicato rimane la stessa che c’era prima? La tecnocrazia senz’anima di cui parla il professor Borghesi al riguardo della questione ecologica e di Laudato si’ coglie in pieno l’arretratezza di una contestazione ferma al contestare un potere che non c’è più, divenendo inconsapevolmente alleata del nuovo, con il tramite del relativismo. “Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esserci umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa cultura relativista quella che giustifica l’acquisto di organi di poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori?”.
Il papa del discernimento ci obbliga a pensare. “È proprio questo paradigma tecnocratico che ci fa capire cosa ci dica la citazione del professor Massimo Faggioli: “Ci si deve chiedere oggi se la chiesa established non sia forse uno dei pochi baluardi rimasti contro la distruzione dello stato sociale, il turbo-capitalismo, l’individualizzazione radicale della vita umana”.
Seguono pagine chiarissime e profonde su tanti risvolti del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, in particolare sul suo viaggio americano e sullo speciale rapporto con Paolo VI. Francesco e la sua Chiesa in uscita nascono nell’idea di Chiesa missionaria e quindi profondamente legata all’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi: “È nell’esortazione apostolica di papa Montini che Bergoglio poteva trovare la sintesi antinomica ed equilibrata tra i due momenti della presenza del cristiano nel mondo: quella tra evangelizzazione e promozione umana. Due momenti ugualmente distanti dalla prospettiva teocon per la quale la missione, lungi dall’essere annuncio del kerygma e testimonianza, è innanzitutto difesa militante dei valori e la promozione umana viene a coincidere con l’incremento della società del benessere”.
Se non si capisce questo non si capisce Bergoglio. L’auspicio è che ora arrivi il libro che ancora manca, quello sul linguaggio poetico di Francesco. Magari a firma dello stesso autore.