L’intervento del ministro dello Sviluppo Economico alla presentazione del position paper “Sovranità tecnologica” del Centro Economia Digitale. Tra il gigante americano e quello cinese, non ci sono dubbi verso chi dobbiamo rivolgerci e da chi dobbiamo tutelarci. L’Europa deve costruire la sua sovranità sulla base di valori e sull’architrave Italia-Francia-Germania. La ricostruzione della filiera sanitaria e il fondamentale strumento del golden power
Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti è intervenuto all’evento “Sovranità tecnologica” in cui il Centro Economia Digitale guidato da Rosario Cerra ha presentato il suo position paper. Giorgetti ha esordito ringraziando gli organizzatori per avergli dato la possibilità di parlare di una politica che non sia “di affanno, di rincorsa dietro alle emergenze, ma una politica chiamata a definire la strategia, la visione di lungo periodo sul tema fondamentale della sovranità tecnologica, connessa a quello dell’autonomia strategica”. Per prima cosa, secondo Giorgetti bisogna parlare di valori. “Negli interventi oggi si è parlato del colosso cinese e del colosso americano, con in mezzo la povera Europa e la poverissima Italia. Ma noi dobbiamo partire da un sistema di valori liberal-democratici che ci portano a guardare da una parte e a tutelarci dall’altra. Sovranità non vuol dire difendere il sovrano ma i valori da noi condivisi in questo nostro mondo libero”.
In due settori si è storicamente manifestata la necessità di un’autonomia, quello militare e quello energetico, ma in questa fase storica il campo si allarga al digitale e alle telecomunicazioni. “Dobbiamo trovare un modo per svilupparli in modo non totalmente dipendente dagli altri. La dimensione non è italiana, ma europea, e io aggiungerei che l’Italia deve avere l’ambizione di costruire il triangolo portante dell’impalcatura europea insieme a Germania e Francia, soprattutto dopo la Brexit. Dunque dobbiamo compiere una riflessione per aggiornarci ed essere protagonisti, a partire dalla regolamentazione del mercato interno e degli aiuti di stato, costruita per un mondo che non c’è più”.
Come modello ci si può ispirare agli altri paesi, ad esempio nel settore del trasporto aereo: “Fuori dal mio ufficio ho i lavoratori di Alitalia, ma in altri paesi (vedi i casi Lufthansa e Air France) è concesso quello che non si può fare da noi”. E non basta “limitarsi ai temi decisivi e strategici, come quelli delle batterie e dell’idrogeno, su cui l’Europa si è già schierata, ma bisogna allargare il campo ad altre materie. Come l’aerospazio. Bisogna decidere se avere una proposta europea o lasciare che ognuno vada per conto suo, finendo schiacciati vista la potenza finanziaria messa in campo dagli Usa”.
Il pensiero non può che andare alla sanità, “dove abbiamo sguarnito il campo di molti presìdi e messo di fatto in ginocchio l’Europa. In queste settimane stiamo cercando di rimettere in piedi una filiera vaccinale europea, visto che al momento non siamo né sovrani né autonomi su decisioni fondamentali per la vita e la morte della nostra popolazione. Serviranno incentivi fiscali per rimettere in moto una proficua collaborazione tra industria e ricerca, che molto spesso è mancata in Italia anche in ragione delle dimensioni aziendali”, non sufficienti a garantire economie di scala.
“Su questo profilo dobbiamo mettere in ordine il sistema degli incentivi alle imprese. Abbiamo i fondi di Cdp, Invitalia, Mise. Serve un approccio da un lato molto pragmatico, in modo da far arrivare subito le risorse, ma anche di visione perché strumenti sovrapposti creano confusione e i soggetti piccoli e medi non riescono a ricorrervi. Il contributo statale è fondamentale ma non possiamo avere più strumenti immaginati 30 o 20 anni fa. Anche parlando di centri di eccellenza, serve una razionalizzazione. Inutile farli proliferare se poi si disperdono conoscenze e forze di impatto”. Imitare gli strumenti di successo adottati all’estero è “molto difficile perché a volte bisogna partire da zero, ma occorre provare”.
Il ministro ha chiuso parlando di golden power, “un potere che nel corso degli ultimi anni si è molto allargato per incidere e proteggere la sovranità tecnologica in settori delicatissimi. Siamo chiamati a prendere decisioni impegnative sia a livello nazionale che europeo, nell’esigenza di proteggere le nostre aziende dagli investimenti predatori. La riflessione è aperta perché ci troviamo al confine tra la sacrosanta libertà di impresa e di diffusione e di adozione di nuove tecnologie, e la preservazione dei nostri valori e della sovranità europea” davanti alle incursioni che arrivano dall’estero.