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I tempi delle amministrazioni italiane e i decreti attuativi

Ogni disposizione di legge richiede una serie di decreti attuativi. Il ministro Enrico Giovannini ha dichiarato di aver dato disposizioni all’ufficio legislativo del proprio ministero, non solo di preparare dei disegni di legge da inviare al Parlamento, ma anche, nel contempo, di mettere mano ai decreti di attuazione. Ecco alcuni consigli per velocizzare la Pa da parte del prof. Massimo Balducci

Viene spesso citato, a ragione, il fatto che uno dei problemi che rallenta pesantemente i tempi di messa in opera delle disposizioni di legge è rappresentato dal fatto che ogni disposizione di legge richiede una serie di decreti attuativi. La preparazione di questi decreti richiede tempi molto lunghi, talvolta anni.

Nella frenesia di porre una qualche pezza sugli antichi mali della nostra amministrazione il ministro Enrico Giovannini ha dichiarato di aver dato disposizioni all’ufficio legislativo del proprio ministero, non solo di preparare dei disegni di legge da inviare al Parlamento, ma anche, nel contempo, di mettere mano ai decreti di attuazione.

Il ministro Giovannini si illude che il problema possa essere superato con l’impegno e la buona volontà. Non è così. Il problema delle lungaggini create dalla emanazione dei decreti applicativi, così come il problema dei ritardati pagamenti della nostra amministrazione o il problema degli appalti, è solo un sintomo. La causa del problema sta ben nascosta dietro il sintomo. Per risolvere il problema gli interventi sintomatologici rischiano di peggiorare la situazione.

Andiamo a vedere quale sia la causa dei ritardi causati dai decreti applicativi. Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare che sopra le Alpi il problema delle lungaggini determinate dai decreti di applicazione non esiste semplicemente perché i decreti di applicazione non esistono. Non esistono perché non se ne sente il bisogno e non se ne sente il bisogno perché non servono.

Perché nelle amministrazioni del nord Europa i decreti amministrativi non servono? Forse perché si lascia alla dirigenza amministrativa un ampio margine di discrezionalità senza sentire il bisogno di imbrigliarla in lacci e lacciuoli? No, non è per questo motivo che i decreti applicativi non servono. Quello che fa veramente la differenza tra l’amministrazione tedesca o olandese, da una parte, e quella italiana, dall’altra, è la struttura delle leggi tedesche e olandesi.

Detto in soldoni le norme variano lungo un continuum. Ad un estremo di questo continuum abbiamo norme che indicano “chi ha la responsabilità di decidere/fare cosa” (es.: “La gestione di magazzino spetta al magazziniere capo”, o “al Prefetto spetta garantire l’ordine pubblico del territorio della Provincia”) con eventualmente una indicazione abbastanza vaga dei criteri cui ci si deve attenere (es.: “Garantire la conservazione delle merci immagazzinate” o “ridurre la microcriminalità”, di solito senza dare indicazioni quantitative relative alla durata della conservazione e alla percentuale di riduzione della microcriminalità).

All’estremo opposto del continuum si trovano norme che richiamano molto da vicino la struttura delle leggi fisiche, norme che rispondono alla struttura “ogni volta che…,allora… Ad esempio: ‘Ogni volta che uno spedizioniere consegni della merce al magazzino, allora il magazziniere deve controllare che la merce corrisponda all’ordine'”, ecc. Le norme di questo tipo rispondo alla struttura “cosa deve essere fatto, quando, come e, eventualmente ma non sempre, da chi”. Le leggi prodotte dai parlamenti dei Paesi al di sopra delle Alpi si rifanno rigidamente a questa logica. Mentre le leggi prodotte dal Parlamento italiano si rifanno prevalentemente alla logica di conferire autorità/potere decisionale a qualcuno (Prefetto, Questore o preferibilmente Commissario ad acta) e non sviscerano il problema delineandone la soluzione operativa.

Di fatto le leggi nordeuropee non hanno bisogno di essere operazionalizzate in decreti attuativi perché sono già esse stesse delle norme direttamente applicabili. Se prendiamo il caso degli appalti ci troviamo di fronte al caso assurdo che le direttive europee (che sono chiamate a dare degli obblighi di risultato cui gli Stati membri devono corrispondere emanando delle norme attuative) sono molto più ricche in termini di indicazioni applicative e di delineazione di percorsi operativi delle norme italiane che dovrebbero essere applicative.

La situazione si è complicata con la legge 400 del 1988 con cui si sono introdotti i “decreti legislativi”. Ci si era resi conto che il potere dei dirigenti (ai quali la legge demandava di fatto un enorme potere di definire i percorsi di realizzazione dei vaghi obiettivi contenuti nella legge stessa) travalicava i limiti di una corretta concezione della separazione dell’attività politica da quella amministrativa e conferiva ai vertici amministrativi un inusitato potere sostanzialmente politico. Anziché tendere a limitare il potere dei dirigenti attraverso la produzione di norme di legge che definissero il processo di realizzazione e non si limitassero a conferire semplicemente il potere a qualche dirigente, si introdusse il principio che le leggi dovessero essere vaghe al massimo conferendo ai vertici amministrativi il potere di definire i dettagli operativi, lasciando al Parlamento soltanto il ruolo minore di esprimere un parere non vincolante sul testo di decreto legislativo messo a punto dai vertici amministrativi!

Il tutto viene complicato dal fatto che la distinzione tecnica tra “norma che conferisce autorità” e “norma che definisce il processo” non viene percepita e nei passaggi da legge a decreto e, poi, a circolare, i due elementi si intersecano aumentando la confusione. Confusione ulteriormente aumentata negli ultimi anni dall’intervento dell’Anac e delle sue linee guida.

Tutto questo determina una enorme incertezza sulle responsabilità di chi è chiamato a decidere, incertezza che dà luogo al fenomeno del terror firmae, della paura che i dirigenti hanno di apporre la loro firma.

Per risolvere il problema dei lunghi tempi di attuazione non basta la buona volontà. Bisogna cambiare il modo di stendere le norme. Un suggerimento al ministro Giovannini. Perché, anziché far preparare separatamente il testo di disegno di legge e i testi dei decreti attuativi, non dà disposizione affinché l’ufficio legislativo del ministero da lui diretto predisponga un testo di legge definito in termini di processo (cosa fare, quando farlo, come farlo) in modo da rendere inutile i decreti attuativi? In questo modo non solo si guadagnerebbe il tempo necessario per predisporre i decreti ma si supererebbe l’ambiguità che determina un ulteriore freno ai tempi della nostra amministrazione e cioè il terrore della firma.

Temiamo che la fretta imposta dal Next Generation Eu non sia buona consigliera e non porti ad affrontare i problemi di fondo della nostra amministrazione ma, al contrario, generi una serie di interventi sui sintomi che alla fine peggioreranno la situazione. Il problema di fondo è sempre quello: bisogna passare a una amministrazione basata sui processi e non esclusivamente sulla gerarchia.

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