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Golden power, la lezione Usa per gestire la tecnologia cinese

5G

Prima ancora di un’alleanza tech fra Ue e Usa, che rischia di essere allargata a troppi settori, c’è bisogno di alzare l’asticella della sicurezza nei confronti della tecnologia cinese. Il golden power europeo è debole, spiega la diplomatica Kathleen Doherty, ma può imparare dal Cfius americano

L’esperta di politica ed economia Kathleen Doherty ha alle spalle trent’anni di carriera diplomatica come feluca statunitense. Oltre ad aver lavorato alle ambasciate di Mosca, Londra, Italia e Cipro, è stata direttrice dell’ufficio europeo e consigliera del segretario del Dipartimento di Stato americano durante la presidenza di Barack Obama. Oggi, dopo aver diretto la scuola di formazione diplomatica governativa ad Arlington, ha ancora un piede nella porta delle relazioni internazionali.

In un recente articolo su Just Security, Doherty elenca una serie di avvertimenti per l’Europa riguardo all’ascesa della Cina, specie nel campo delle tecnologie. Solo qualche giorno fa uno studio ha rivelato che il Dragone potrebbe superare gli Stati Uniti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, tecnologia determinante per la superiorità strategica in un numero sconfinato di settori, entro il prossimo decennio.

La questione di fondo è squisitamente geopolitica: lo sviluppo tecnologico non prescinde dai valori e dagli obiettivi di chi lo persegue. Vale a dire, autoritarismo e tecnologia cinesi sono inscindibili, come dimostrato, ad esempio, nell’architettura di sorveglianza di massa denunciata dalla stampa internazionale (soprattutto dalla Bbc) in Xinjiang.

Con l’elezione di Donald Trump Washington ha avviato un processo di decoupling dalla Cina, continuato dall’amministrazione di Joe Biden, con il duplice obiettivo di ridurre la propria dipendenza di materiali ed evitare che le proprie tecnologie siano usate da Pechino. Il punto, sostiene Doherty, è che la Cina tuttora dipende da know-how e tecnologie occidentali per il proprio sviluppo tecnologico. Il che fa dei Paesi europei, molto meno assertivi nel contenere le ambizioni cinesi, l’anello debole nelle relazioni transatlantiche con il Dragone.

Con l’eccezione di Huawei, il gigante tech cinese la cui tecnologia 5G è stata limitata in certi Paesi Ue, l’Europa condivide e commercia con la Cina tecnologie digitali, intelligenza artificiale, quantum computing, biotecnologie e altri prodotti con elementi di sicurezza nazionale, scrive Doherty, oltre a prodotti dual-use con applicazioni militari. “L’approccio a queste problematiche sarà decisivo per le possibilità della Cina di superare le capacità militari high-tech americane ed europee […] ma mentre gli Stati Uniti hanno implementato misure efficaci, quelle europee sono carenti”.

Washington, spiega l’esperta, ha a disposizione una commissione sugli investimenti esteri alle dipendenze del segretario del Tesoro, nota con l’acronimo CFIUS. Questa ha il potere di intervenire direttamente sulla compravendita con attori esteri, ed è stata usata “vigorosamente” da Trump, come anche da Obama per bloccare la vendita di una compagnia di semiconduttori a un’azienda tedesca controllata da una parent company cinese.

Anche l’Europa ha un’autorità simile, scrive Doherty, ma non possiede nemmeno lontanamente i poteri necessari per essere efficace – specie considerando la rapidità dell’evoluzione tecnologica.

Esiste un problema simile per le tecnologie dual-use, continua la statunitense: troppo pochi i Paesi europei ad avere un relativo meccanismo di controllo dell’export, e l’autorità della Commissione europea non basta. “Sia gli Usa che l’Ue sono membri del Wassenaar Agreement, un accordo globale multilaterale sul controllo dell’export di armi convenzionali e beni e tecnologie dual-use sensibili”, puntualizza Doherty; “ma un singolo Paese può bloccare qualsiasi proposta e le decisioni possono metterci anni”.

L’Ue e gli Usa, scrive l’esperta, dovrebbero avere misure comuni, o almeno complementari, ed essere in grado di reagire tempestivamente. Perciò occorre un polo di comunicazione regolare e strutturale, dove gli esperti possono spiegare (e i politici capire) i problemi relativi alle tecnologie emergenti.

La proposta dell’Ue di istituire un’alleanza tecnologica, secondo Doherty, è fuorviante, perché il forum pensato da Bruxelles tratterebbe anche materie come tassazione di Big Tech, regole e privacy: così si rischia di perdere di vista la questione, oltre a favorire lo sforzo cinese di tenere gli alleati transatlantici separati.

“L’amministrazione Biden cercherà il supporto degli alleati nella sua strategia per la Cina, anche per queste questioni cruciali”, conclude Doherty; ora occorre coraggio da parte europea, anche se l’accordo per gli investimenti siglato tra Pechino e Bruxelles solleva qualche sopracciglio americano. Però non si può più aspettare, scrive, perché in futuro la minaccia cinese potrebbe essere molto più grande.

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