Enrico Letta, Giuseppe Conte, Matteo Renzi, Silvio Berlusconi. La maggioranza Draghi è sostenuta da quattro ex presidenti del Consiglio, più i due vice Salvini e Di Maio. L’Italia ha una occasione irripetibile da cogliere e guai se non lo fa
Non sarà il governo dei migliori. Ma quello dei (plurale) presidenti e vice, sicuro. Arriva Enrico Letta alla guida del Pd, un ex presidente del Consiglio. Il M5S vuole cambiare pelle e si affida a Giuseppe Conte, anche lui fresco ex inquilino di palazzo Chigi. E lo fa proprio per questo, sfruttando la popolarità acquisita nel ruolo. Accanto a lui Luigi Di Maio, non presidente ma quasi: vicepremier sempre dell’Avvocato del popolo.
Nella maggioranza di larghe intese – dopo essersi battuto per allestirla a favore di Mario Draghi – figura Matteo Renzi, presidente del Consiglio del 41 per cento ai Democratici, asticella siderale mai più raggiunta e poi precipitata al 18. Poco più a destra (ma c’è chi dice che magari è il contrario: malignità…) troneggia Silvio Berlusconi, premier della “discesa in campo” e della più travolgente marcia elettorale del tramonto della Prima repubblica e l’avvento della Seconda (o Prima bis che forse è meglio). A fianco a lui si erge Matteo Salvini, che nel palazzo degli ex banchieri Chigi vuole assolutissimamente andarci e nel frattempo si è allenato da vicepremier, pure lui con Conte. Seppur in posizione più defilata, nel piedistallo parlamentare che sostiene Draghi c’è anche Mario Monti, ex capo di un governo che più tecnico sembrava impossibile e poi voleva (lui, senatore a vita) farsi politico ma non è andata bene.
La veloce carrellata serve semplicemente a rilevare che l’esecutivo guidato da SuperMario annovera quello che, piaccia o meno, è inevitabile considerare il meglio che la classe politica è allo stato in grado di esprimere. Lo rileva Ilvo Diamanti su Repubblica: il Paese si fida dei premier. Manca qualcosa al verbo: se si fidi o no non si sa, che si affidi a loro è certo.
Chi ha manovrato le leve del potere sa che governare dall’opposizione è semplicissimo mentre farlo dalla maggioranza è complicatissimo. Tuttavia la cosa più importante sta nel fatto che chi ha conosciuto le esaltazioni, i rischi, le incertezze, gli sgambetti di quando siedi sulla poltrona più rilevante di tutte, molto difficilmente può far leva sui due mali principali di adesso, demagogia e populismo, per distinguersi e guadagnare consensi a scapito degli altri.
Chi si è ritrovato, per scelta o per casualità, tra le mani il timone di una barca imbizzarrita ed ha affrontato gli affanni di una opinione pubblica sempre pronta a trasformare in un battibaleno l’adesione in rigetto, capisce benissimo che andare all’attacco di altri premier o vice impugnando il bastone della critica senza se e senza ma finisce per sgretolare la credibilità sua e della forza politica che guida. Se critica ci deve essere – e guai se non fosse così – non può che essere argomentata, costruttiva, migliorativa.
La coalizione imperniata sui presidenti e/o vice non può che tenere il passo della coesione unitaria per far uscire l’Italia dalla crisi che da decenni la avvinghia e che il Covid ha ampliato e reso ancora più profonda. Draghi si trova nella condizione eccezionale di poter avvalersi del contributo di chi ha avuto responsabilità forti e non può non riconoscerle in chi lo ha sostituito. Il che significa che l’ex presidente Bce non può permettersi passi falsi e che i suoi precedessori che adesso lo sostengono non possono tendergli trappole senza pagarne un prezzo salato.
Se le cose stanno così e considerato la straordinaria messe di risorse che arriveranno dall’Europa, davvero stavolta l’Italia ha una occasione irripetibile da cogliere e guai se non lo fa. Lo spessore di leadership istituzionale sia di chi guida il governo sia di chi lo appoggia può e deve diventare l’asse portante per risollevare una volta per tutte il Paese. Chi si facesse trascinare dalla voglia di primeggiare senza valutare le conseguenze politiche e sociali dei suoi comportamenti, il minimo che si può dire è che renderebbe un cattivo servizio ai cittadini. Viviamo una fase di appeasement che i presidenti e/o vice potrebbero usare per arricchire il bagaglio ideale e programmatico delle forze politiche che guidano. Sostenendo l’esecutivo condotto da uno che è come e più di loro, e che non ha alternative. La sfida è questa. Bella e speriamo non impossibile.