Stante la situazione ancora delicata del paese, l’invio di un piccolo contingente militare in Kuwait per una missione di peacekeeping è un importante passo avanti per il Kosovo. Conferma di come Pristina abbia intenzione di fare la sua parte negli affari internazionali (sotto il quadro occidentale)
Lo scorso 14 febbraio si è tenuta la quarta tornata elettorale in sei anni in Kosovo che ha visto la netta affermazione (oltre il 48% dei voti) del partito “antisistema”, progressista e nazionalista di Vetevendosje guidato da Albin Kurti.
Usciti fortemente ridimensionati i partiti tradizionali con il Partito Democratico del Kosovo dell’ex presidente Hashim Thaci fermo al 17,4%, la Lega Democratica del Kosovo del premier uscente Avdullah Hoti al 13,1% e l’Alleanza per il Futuro del Kosovo dell’ex premier Ramush Haradinaj al 7,4%. I giovani nati dopo la guerra, la diaspora e la componente femminile dell’elettorato intercettata dalla lista Vetevendosje, grazie alla presenza di Vjosa Osmani, la presidente del Parlamento e Presidente ad interim subentrata a Thaci spiegano, insieme alla possibilità di riscatto, alla lotta alla corruzione e alla creazione dei posti di lavoro, le ragioni dell’affermazione di Kurti.
In attesa della formazione del nuovo governo, Bruxelles guarda alla possibile ripresa del dialogo Belgrado – Pristina, un dossier in cui rimangono diverse e molteplici questioni irrisolte. Non è un caso che lo stesso inviato speciale dell’Unione Europea, Miroslav Lajcak, abbia evidenziato come le parti dovranno esser pronte a scender a compromessi per poter raggiungere un accordo vincolante e mediato dall’Unione Europea.
Una normalizzazione dei rapporti basata sul dialogo tra i due paesi, rispetto alla quale Lajcak ha recentemente riscontrato la volontà di andare avanti, non essendoci alternative. Un accordo finale dovrebbe risolvere le numerose questioni rimaste aperti, quali lo status delle aree del Kosovo popolate dai serbi, i risarcimenti di guerra, il futuro dei siti religiosi serbo –
ortodossi e altri aspetti legati alla normalizzazione economica tra i due paesi, in parte avviata lo scorso settembre nel corso del vertice alla Casa Bianca tra il Presidente Vucic e il Premier Hoti.
Un’altra questione che sin dal 2018 ha sollevato non poche tensioni con Belgrado è inoltre la trasformazione delle Kosovo Security Force, da forze di sicurezza a forze armate. I compiti delle KFS consistono nel difendere la sovranità e l’integrità territoriale, i cittadini, i beni e gli interessi della Repubblica del Kosovo. Le KSF sono una forza militare multietnica, professionale, armata e autorizzata a prestare servizio nel paese e all’estero,
attraverso la partecipazione ad operazioni internazionali.
La graduale trasformazione delle KSF richiederà tempo, tanto che gli stessi comandanti della Kosovo Security Force stimano che il processo per la realizzazione non potrebbe durare meno di dieci anni, con l’aggiunta di almeno 5.000 militari in servizio e 3.000 riservisti.
Significativa di quanto la transizione delle KSF sia centrale, anche in termini tecnico – militari per il possibile e futuro ingresso del Kosovo nella NATO è la recente decisione di inviare un plotone di militari in Kuwait che andrà ad operare sotto il comando americano di CENTCOM. Un significativo passaggio della storia del Kosovo paese che, proprio lo scorso 17 febbraio, ha celebrato il 13° anniversario della sua indipendenza e che, per la prima volta come ricordato dalla Presidente ad interim, Vjosa Osmani, dopo 22 anni dalla guerra si trova ad inviare le proprie forze di pace all’estero.
(Foto: KSF)