L’appartenenza del premier ungherese Viktor Orban al Partito popolare europeo (Ppe) è appesa a un filo. Se esce Fidesz si fa spazio per gli europarlamentari della Lega. Ma i tempi possono bruciare l’operazione e pure Salvini ha i suoi dubbi
Sono passate solo due settimane da quando Népsava, uno dei più popolari giornali ungheresi, sulla carta indipendente ma ormai da anni retto sui finanziamenti del governo di Viktor Orban, titolava in prima pagina: “Fidesz sarà rimpiazzata dalla famiglia di Salvini”. Non è che il leader della Lega vuole fare le scarpe al suo (ex?) alleato dentro al Ppe (Partito popolare europeo)? Quel dubbio sibillino rilanciato a tambur battente dalla stampa filogovernativa ungherese inizia ora a prendere forma.
In queste ore i vertici del Ppe sono riuniti per soppesare una decisione che può cambiare il corso dei popolari a Bruxelles. Domani mattina il gruppo parlamentare potrebbe votare una modifica al regolamento che permetterebbe di sospendere un partito membro da qualsiasi attività. Nel mirino c’è proprio il partito di Orban, che infatti ha già minacciato di ritirare lui la delegazione degli 11 parlamentari di Fidesz dal gruppo popolare.
È quanto emerge dalla riunione della presidenza del gruppo questo martedì. Tutti i vicepresidenti presenti hanno infatti votato a favore della modifica del regolamento. Si fa dunque più probabile lo scenario in cui Orban venga messo alla porta, con la votazione che avrà luogo poco dopo l’apertura dei lavori, alle 9.30. Anche se cresce il malcontento fra i parlamentari e non è da escludere che qualcuno decida di non seguire le indicazioni del gruppo dirigente.
Non sarà comunque difficile trovare la maggioranza di due terzi necessaria per il voto di domani. Con Orban, ufficialmente, si schiera solo la compagine slovena del premier Janez Jansa. Figurarsi trovare la maggioranza semplice necessaria, una volta approvata la modifica, per sospendere Fidesz dal partito, o addirittura espellerlo.
I magiari nel Ppe già vivono da mesi in un limbo. Partecipano alle attività del gruppo parlamentare, ma non ai vertici e alle cerimonie del Ppe, perfino Orban non viene invitato. La matematica finora ha avuto la meglio: le restrizioni della libertà di stampa, il muro contro muro con l’Ue sull’immigrazione, le sbandate in politica estera non sono bastate a mettere la porta i “sovranisti” di casa.
Oggi però le carte in tavola potrebbero essere cambiate. Non è un mistero che dalle parti del Ppe si valuti da tempo un lento avvicinamento della Lega alla famiglia popolare a Bruxelles. Lo scambio Salvini-Orban conviene, numeri alla mano, perché il Ppe guadagnerebbe 18 parlamentari in più di quelli attuali. Eppure la partita è tutta in salita.
Restano diffidenze fra i tedeschi della Cdu, partito in cui milita la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, sulla svolta europeista di Salvini con l’arrivo di Draghi al governo. Né sono sufficienti da soli gli sforzi di Giancarlo Giorgetti per tessere i rapporti con l’ala dialogante e più conservatrice del partito. Basta un niente per far saltare gli equilibri. Come un paio di baffi di Hitler messi su una foto di Angela Merkel postata dal senatore leghista Alberto Bagnai durante la discussione della legge di bilancio, a dicembre. Che sono costati al Carroccio un “veto” interno alla Cdu: niente convegni pubblici con i leghisti.
La verità, confida un pontiere a Formiche.net, è che “il change-over Salvini-Orban è nel corso naturale degli eventi”. Ci lavorano gli sherpa già da un anno. Solo che nessuno immaginava che i tempi fossero così stretti. I vertici del Ppe, da Manfred Weber a Donald Tusk, continuano a chiudere pubblicamente. Dietro le quinte però il piano è già disegnato.
Il primo passo è un lento distaccamento della Lega dal gruppo di Identità e democrazia. Qui basta osservare le mosse di un leghista accorto come Marco Zanni, presidente del gruppo Id, per capire che l’aria è cambiata, dalla ferma condanna del caso Navalny al battibecco interno al gruppo per difendere Draghi.
Poi il passaggio intermedio, doveroso, al Gruppo Misto, per avvicinarsi infine al portone del Ppe, un voto alla volta. Chi è accanto a Salvini racconta però che per ora il leader leghista “non considera una priorità” il passaggio alla famiglia popolare. Dopotutto l’etichetta di “governabilità” che il “Capitano” otterrebbe con la mossa a Bruxelles potrebbe costare caro sul piano elettorale, con le sirene sovraniste di Giorgia Meloni che già strappano punti nei sondaggi e pure qualche affiliato, per ultimo l’eurodeputato calabrese Vincenzo Sofo.
Se poi mercoledì il banco dovesse saltare, salterebbe anche la scaletta immaginata dal Ppe per far salire a bordo i leghisti. Anche per questo c’è da scommettere che fino all’ultimo i vertici faranno di tutto per evitare lo strappo con Orban. E rimandarlo a tempo determinato.