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Il Regno (dis)Unito e lo straordinario successo della Brexit

Per fortuna che c’è il covid! Questo deve essere più o meno il ragionamento di Boris Johnson ogni giorno in cui arrivano gli aggiornamenti sui dati dell’economia britannica.

I dati a consuntivo del 2020 raccontano che la diminuzione delle esportazioni dei 10 principali prodotti dell’export inglese verso l’Europa è stata in media (in valore) del 75%. Ma, appunto, si può sempre dire che si è trattato del Covid e dell’interruzione dei commerci dovuta alla pandemia.

Peccato che, come ci dicono i dati sul commercio intra-Ue, la diminuzione del traffico transfrontaliero nell’Unione abbia registrato in media un calo del 15%; ben lontano dai dati del crollo dell’export UK. Se agnello e montone hanno visto calare le vendite in Ue di ‘solo’ il 45,1%, il salmone ha registrato un ‘eccellente’ -98%. Seguito a ruota dal -91,5% della carne di manzo e dal -86,9% della carne di maiale.

Naturalmente, gli effetti del covid sono obiettivamente pesanti; e difficili da distinguere da quelli della Brexit. Occorrerà attendere qualche anno perché i due effetti diventino più nitidi. Ma certo la diminuzione delle importazioni Ue dalla Gran Bretagna è impressionante. E fa sorgere inquietanti interrogativi sulla tenuta politica del Regno. Perché, ad esempio, l’economia scozzese è fortemente legata alle esportazioni di whisky (-63,1%, con una perdita in valore pari a 66,5 milioni di sterline) e di quel salmone che abbiamo visto essersi letteralmente bloccato alle frontiere.

Insomma, l’autarchia inizia a dare i suoi frutti. Magari troveremo da ora in poi un po’ meno agnello alla menta, quando riprenderemo a viaggiare verso la Gran Bretagna, ma in compenso ci offriranno salmone fresco e affumicato a prezzi stracciati. Magari accompagnato da una bella cioccolata calda (-68,4%). Un successo davvero straordinario.



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