Nel campo dell’intelligenza artificiale, come in quello della ricerca vaccinale, non dovrebbero trovare spazio eccessivo le spinte isolazioniste che sempre hanno danneggiato la scienza e favorito lo spionaggio illegale. L’industria ha sempre superato la politica nella capacità di dialogare (e di fare affari) oltrefrontiera
La pandemia di Covid-19 che dall’inizio dello scorso anno ha interessato, con effetti drammatici, tutto il nostro pianeta e che per spinta inerziale sembra destinata a proseguire per buona parte dell’anno in corso, non ha solo determinato effetti pesantissimi sul piano della mortalità generale (oltre 2 milioni e mezzo di morti fino a ora), ma ha generato conseguenze economiche e sociali catastrofiche in molti paesi del mondo, a cominciare dal nostro.
Appena sarà definitivamente superata la parte eminentemente sanitaria della crisi pandemica, i governi di tutti i paesi colpiti dovranno trovare necessariamente gli strumenti idonei per assicurare la “ripartenza” dell’economia cercando nuove opportunità di sviluppo e di rinascita che, se opportunamente adottate e implementate, potrebbero nel prossimo decennio consegnarci addirittura un mondo migliore di quello che ci siamo lasciati alle spalle.
Un “think tank” di eminenti economisti, co-presieduto dal professor Mario Draghi, il “Gruppo dei Trenta”, nello scorso mese di dicembre ha pubblicato i risultati di una ricerca intitolata “Dare nuova vita, nel post-Covid, al settore economico. Linee di indirizzo di intervento pubblico”.
Lo studio parte dalla constatazione che l’epidemia ha “drammaticamente cambiato i paradigmi del business a livello mondiale, scatenando una crisi di solvibilità per le imprese di molti paesi”.
Si tratta di una crisi ormai strutturale che impone ai politici e ai governi la ricerca di strumenti di supporto finanziario alle imprese in grado di far ripartire produzione e sviluppo.
La strada indicata dai “Trenta” è complessa ma parte dall’esigenza che la politica si dedichi immediatamente al sostegno attivo di quelle imprese del settore privato che dimostrino già una propria effettiva capacità di resilienza in modo che “le scarse risorse pubbliche” vengano indirizzate verso settori in grado di riprendersi rapidamente e di trainare il rilancio dell’economia globale.
Al riguardo i “Trenta” raccomandano che “i politici debbono considerare attentamente la collocazione delle risorse…che non dovrebbero essere sprecate con sussidi a settori condannati al fallimento “ma, piuttosto destinate ai comparti in grado di riprendersi dalla crisi in tempi rapidi e socialmente ed economicamente accettabili.
I primi settori individuati dai “Trenta” come meritevoli di supporto immediato per la possibilità che essi dimostrano di poter trainare la ripartenza sono quelli della digitalizzazione e dell’economia “verde”.
Non è quindi un caso se nel programma di governo oggi presieduto dal professor Draghi, “rivoluzione digitale e green economy” figurino in cima alla scala delle priorità degli interventi strategici da attuare con i fondi europei del Recovery plan.
Digitalizzazione e green economy, se opportunamente accompagnate dal sostegno pubblico verso forme di reciproca interazione intelligenti ed efficaci, possono essere determinanti non soltanto nella “rinascita” post pandemica, ma possono altresì consegnare ai nostri figli un mondo migliore, più efficiente e più sano di quello nel quale vivevamo prima che il virus sconvolgesse le nostre vite.
Ma la pandemia ha colpito tutto il mondo senza curarsi di frontiere, di tensioni politiche, di criticità di scacchiere, di guerre o di rivolte.
Essa ha colpito a occidente e a oriente, a nord e a sud, senza discriminazioni tra ricchi e poveri. La fine della crisi potrebbe quindi consegnare alla politica la possibilità di ripartire anche all’insegna di nuove forme di solidarietà e di cooperazione internazionale che, insieme al Covid, facciano sparire steccati antistorici e anticongiunturali che potrebbero danneggiare seriamente la “costruzione di un mondo migliore”.
Non è un caso, al riguardo, che il primo impegno internazionale dell’anno di Papa Francesco sia stato quello di recarsi nella disgraziata terra irachena non solo per portare solidarietà ai cristiani perseguitati e sterminati dal Califfato, ma soprattutto di gettare un ponte verso i musulmani sciiti e sunniti in nome della comune discendenza da Abramo.
L’incontro del Pontefice con l’Ayatollah Al Sistani, massima personalità religiosa del mondo sciita, dimostra che la possibilità di aprire canali di dialogo tra entità politico-religiose separate da secoli di inimicizia è concreta e perseguibile anche nella prospettiva della rinascita post pandemica.
Il messaggio di Papa Francesco dovrebbe, auspicabilmente, arrivare anche al cattolico neopresidente degli Stati Uniti che, a qualche settimana dal suo insediamento alla Casa Bianca, ha mostrato nelle prime mosse di politica estera un’aggressività e una revanche dello spirito di “superpotenza” che forse gli americani (e non solo loro) speravano di essersi lasciati alle spalle con la detronizzazione di Donald Trump.
Aperture all’Iran accompagnate da bombardamenti delle milizie iraniane in Iraq, gelo nei rapporti con l’Arabia Saudita, aggressività immotivata nei confronti della Cina- che pure ha dimostrato al mondo di saper uscire per prima dalla pandemia e si è sobbarcata il sostegno sanitario di molti paesi africani- sono tutte mosse che non fanno ben sperare nella ricerca di realistici modelli di convivenza pacifica da parte della prima potenza mondiale.
Se la ripartenza mondiale dopo la pandemia deve essere trainata dalla scienza, come auspicato dai “Trenta”, allora è proprio in questo campo che la collaborazione (come peraltro è avvenuto nei fatti nella ricerca, produzione e distribuzione dei vaccini) a livello internazionale dovrebbe essere più stretta ed efficace.
Un aiuto fondamentale al progresso scientifico verrà sicuramente dai progressi nel campo dell’intelligenza artificiale, strumento di sostegno e di supporto all’intelligenza umana, che sarà in grado di accelerare e di migliorare i processi di digitalizzazione diffusa auspicati da molti governi a cominciare dal nostro nella spinta alla rinascita produttiva.
Nel campo dell’intelligenza artificiale, come in quello della ricerca vaccinale, non dovrebbero trovare spazio eccessivo le spinte isolazioniste che sempre hanno danneggiato la scienza e favorito lo spionaggio illegale.
L’elettricità è stata scoperta da Edison, ma nessuno è riuscito a trattenerla nei confini degli Stati Uniti.
L’industria ha sempre superato la politica nella capacità di dialogare (e di fare affari) oltrefrontiera.
Eppure, lo scorso 1° marzo, la “National Security Commission on Artificial Intelligence”, istituita dal presidente Trump due anni orsono, ha pubblicato il suo report finale nel quale, in sostanza, propone al presidente e al Congresso di utilizzare la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale come uno strumento di guerra “surrogata” nei confronti della Cina.
“Noi dobbiamo – recita il rapporto della National Security Commission – impegnarci nella competizione sull’intelligenza artificiale, la competizione favorirà l’innovazione e dobbiamo lavorare con i nostri partner per favorire il progresso in questo campo come nel campo dei vaccini. Ma noi dobbiamo vincere la competizione sull’intelligenza artificiale intensificando il confronto strategico con la Cina. I piani, le risorse e i progressi della Cina dovrebbero preoccupare seriamente tutti gli americani. La Cina in tema di intelligenza artificiale non è seconda a nessuno e in alcune sue applicazioni è addirittura leader. Noi raccomandiamo di prendere seriamente l’ambizione della Cina di sorpassare gli Stati Uniti nella ricerca sull’intelligenza artificiale diventando la leader in questo campo nel prossimo decennio”.
Nelle parole e nelle raccomandazioni di questi scienziati, quindi, il progresso scientifico dovrebbe essere strumentale alla competizione per il primo posto geo strategico.
Per fortuna gli scienziati di tutto il mondo, quelli seri, cooperano nelle ricerche comuni molto più di quanto i loro governi forse gradiscano e lo stesso fanno le aziende che cercano opportunità di lavoro e di crescita anche oltre i confini “graditi” dalla politica.
Prendiamo il caso della ricerca e sviluppo delle energie rinnovabili, un anello fondamentale di quella “green economy” che nei suggerimenti del “Gruppo dei Trenta” e nei progetti di Recovery europei e italiani dovrebbe ricevere sostegno pubblico e trainare la ripartenza dell’economia.
Se il sogno americano, di Trump come di Biden, è quello di stendere un cordone di filo spinato intorno alla Cina, l’Europa e l’Italia hanno compreso che con il gigante orientale si può e si deve collaborare, anche a partire dalla ricerca di energia “pulita” dal vento, dal sole e dal mare.
Grazie anche all’impegno personale del giovane ministro cinese delle Risorse energetiche, Lu Hao, che non più tardi di qualche mese fa in occasione dell’inaugurazione dell’Expo cinese per l’economia marittima di Shenzhen ha dichiarato che la Cina intende promuovere “la creazione di un nuovo modello di sviluppo che consenta di comprendere e gestire la dialettica tra protezione dell’ecosistema marino e uso del mare come fonte di energia”, si sono poste nelle scorse settimane le basi per la collaborazione nella ricerca e produzione di energia marina, tra l’italiana Eldor corporation, supportata dall’International world group, e il National ocean technology center di Shenzhen, attraverso lo sviluppo di strumenti per ricavare energia dal moto ondoso e dall’idrogeno contenuto nell’acqua di mare.
Progetti che se verranno adeguatamente sostenuti dai governi di Italia, Europa e Cina, daranno un contributo fondamentale a tutto il mondo per uscire dalla crisi rapidamente ed efficacemente.
Con buona pace di chi, oltreoceano, non ha ancora capito che la crisi pandemica impone anche una intelligente ridefinizione delle frontiere economiche della geopolitica.