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Il papa in Iraq e i suoi cristiani. La ricostruzione di padre Sale

Papa Francesco realizzerà il sogno di papa Giovanni Paolo II e andrà in Iraq. Ma quale è la situazione dei cristiani nel Medio Oriente? Della soprav­vivenza delle comunità cristiane parla padre Giovanni Sale in un saggio che verrà pubblicato proprio nei giorni del viaggio da La Civiltà Cattolica, diretta da padre Antonio Spadaro, che accompagnerà il pontefice

Papa Francesco realizza il sogno proibito a Giovanni Paolo II da Saddam Hussein e domani parte alla volta dell’Iraq. Nel numero de La Civiltà Cattolica che uscirà nelle ore della sua permanenza irachena il gesuita padre Giovanni Sale, autorevolissimo studioso delle questioni relative a quel mondo, scrive un nuovo importante articolo sulla storia dei cristiani in Iraq: “Senza cristiani il mondo arabo musulmano non sarà più lo stesso: rischia di diventare totalitario e asservito alla volontà di tiranni di turno. In realtà, ciò a cui oggi assistiamo è una vera e propria riconfigurazione etnico-religiosa della regione – questo è vero sia per l’Iraq sia per la Siria –, una sorta di pulizia etnica a danno di tutte le minoranze, dove il fattore religioso viene strumentalizzato quale pretesto per la mobilitazione politica e la conquista del potere. Svuotare l’Oriente dei suoi cristiani – ha scritto Tareq Oubrou, grande imam di Bordeaux – equivarrebbe a privare il mondo arabo-musulmano di una ricchezza umana inestimabile”. Forse si potrebbe aggiungere che la loro espulsione è l’obiettivo di chi vuole fare del mondo arabo una casa senza finestre.

Il saggio di padre Sale ha il grande merito di ripercorrere la dolorosa storia della fuga dei cristiani che li ha ridotti a dato numericamente irrilevante in un secolo, rispetto a quando alla fine dell’impero ottomano erano in media il 25% di quelle popolazioni, senza dimenticare il glorioso passato, quello dell’evangelizzazione di San Tommaso apostolo, “coadiuvato nell’opera missionaria dal discepolo Addai. I veri fondatori della Chiesa d’Oriente sarebbero stati però i discepoli di quest’ultimo: Aggai e, soprattutto, Mari, il quale fondò la sede episcopale di Kohe, presso Seleucia e Ctesifonte, le due città imperiali, dove si trovano i resti di una delle chiese più antiche del mondo”. Quel mondo cristiano che arrivò fino in Cina e che era soprattutto monofisita, per gli attriti con il cristianesimo bizantino – cioè fedele alla dottrina del Concilio di Calcedonia- è quasi scomparso dalla nostra storia oltre che dalla nostra memoria e padre Sale ha il grande merito di raccontarlo, a differenza di quanto usualmente accade.

Il suo racconto fa i conti però non solo con le rimozioni del grande passato, ma anche con le tragedie della storia recente, a cominciare dalla discussa relazione con il regime di Saddam Hussein: “Negli anni del governo di Saddam Hussein, paradossalmente, la situazione per i cristiani sembrò almeno parzialmente stabilizzarsi: certo, continuarono le difficoltà nel costruire o riparare chiese, continuò la ghettizzazione e la politica panarabista del Ba‘th portò al divieto di insegnamento del siriaco e all’imposizione di nomi arabi in sostituzione di quelli cristiani (con una «arabizzazione» anche formale dei caldei nei documenti ufficiali) però, nell’insieme, Saddam, concentrato nell’eliminazione degli oppositori kurdi e sciiti (nel primo caso con azioni direttamente di pulizia etnica), era tollerante verso i cristiani. Non a caso scelse come ministro degli Esteri e vice-primo ministro Tareq Aziz (il cui vero nome è Mikhail Yuhanna), un intellettuale cristiano moderato la cui funzione primaria, al di là della sua statura politica, doveva essere proprio quella di rassicurare il mondo occidentale sulla situazione di «libertà» dei cristiani mesopotamici e sulla benevolenza del regime nei loro confronti. Di riflesso, la comunità cristiana, molto presente nel nord del Paese, finì nel mirino dei ribelli kurdi, che distrussero numerosi villaggi cristiani tra il 1978 e il 1980, con il pretesto che fossero «alleati» di Saddam”.

È questa una delle migliori rappresentazioni dell’uso politico del tema “cristiani d’Oriente”. Termine creato dalle potenze coloniali occidentali ai tempi della “Questione d’Oriente”, cioè la questione del riassetto dei territori del morente impero Ottomano, questi cristiani, che in realtà sono caldei, assiri, siri, armeni, copti, maroniti e così via, venivano presentati come “protetti” dall’Europa, eternizzando così il sistema di “protezione” da cui questi cristiani volevano affrancarsi (il regime di protezione da parte del Sultano come “minoranze accettate” e non pieni cittadini) e quindi come quinte colonne degli imperi europei. Dopo la decolonizzazione i regimi, soprattutto laici, ne hanno fatto oggetto di loro “protezione” per “ingraziarsi” l’Occidente, aggravando il solco che li divideva dai loro connazionali che quei regimi non proteggevano, ma spesso abusavano.

Così il racconto di padre Sale arriva con forza e visione ai tempi della guerra contro Saddam Hussein: “Per quanto riguarda i cristiani iracheni, oltre alle migrazioni di cui si è parlato, furono le continue espulsioni, e a volte le violenze o le persecuzioni, a indurli ad abbandonare i villaggi dove vivevano da secoli e a trovare riparo nelle regioni o nei Paesi limitrofi o, spesso, a intraprendere il viaggio verso altri continenti. Da questo punto di vista possiamo distinguere, sommariamente, due periodi.

Il primo riguarda la guerra americana contro Saddam Hussein, in particolare l’attacco del 2003, dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle. Si trattava di una guerra che è stata presentata come una reazione contro il gruppo terroristico di al-Qaeda, responsabile del terribile attentato in territorio statunitense, finanziato dal miliardario saudita di origine yemenita Osama bin Laden.

Il secondo periodo corrisponde alla creazione, da parte dell’Is, del presunto Califfato di Mosul (giugno 2014). Di fatto, dopo l’esecuzione di Saddam Hussein, si sviluppò in Iraq il movimento terroristico al Qaeda – e successivamente «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante» –, da cui poi, con la sua espansione in territorio siriano, nacque lo Stato Islamico. Esso fin dall’origine era costituito da violenti miliziani sunniti – capeggiati dal giordano Musab al-Zarquawi –, molti dei quali erano stati soldati e ufficiali dell’esercito di Saddam Hussein. La loro strategia consisteva nella riconquista dell’Iraq, ormai in mano statunitense, da parte delle forze sunnite e, di conseguenza, la lotta contro gli odiati sciiti e contro i cristiani, sia invasori sia residenti.

Per quanto riguarda il periodo successivo al crollo del regime di Saddam Hussein (marzo 2003), la situazione dei cristiani in Iraq divenne molto difficile, a causa delle lotte intestine tra i musulmani e per l’affermarsi nel Paese di un fondamentalismo islamico sempre più aggressivo nei confronti dell’invasore. Dal 2003 a oggi, inoltre, le condizioni dei cristiani sono nettamente peggiorate. La confusione che regnò nel Paese dopo l’intervento militare guidato dagli Stati Uniti diede libero sfogo”.

Questa ricostruzione ha l’indiscutibile merito di cogliere tutta la drammaticità della condizione dei cristiani, cittadini dei loro Paesi ma percepiti o rappresentati come alleati degli “invasori” per via della presentazione di questi come “cristiani”. Se i cristiani sono quinte colonne dell’Occidente gli sciiti sono quinte colonne dell’Iran, come i terroristi sunniti sono nel racconto degli altri l’unica espressione di una confessione religiosa che spesso è di quei terroristi la prima vittima.

Si arriva così ai luoghi da cui i cristiani sono stati ferocemente scacciati dall’Isis: “Nel 2014, con l’avanzata verso il nord dell’Iraq dei miliziani dell’Isis, che portavano ovunque distruzione e morte, 120.000 cristiani scapparono dalla città di Mosul e dalla piana di Ninive. La maggior parte di essi, per sfuggire alla devastazione, si rifugiarono presso i territori abitati e saldamente difesi dai curdi, nel Kurdistan iracheno, in particolare a Erbil.

La regione di Ninive è stata poi liberata, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, dalla coalizione internazionale a sostegno dell’esercito iracheno, alla quale si sono unite le milizie sciite e i peshmerga curdi, e i cristiani poco alla volta sono potuti ritornare nelle loro case. A Qaraqosh, piccolo centro urbano a 30 chilometri da Mosul, noto per essere la roccaforte della cristianità del Paese, «si stima che siano ritornati più di 25.000 cristiani: il 46% di quanti abitavano la città prima dell’invasione dell’Isis nell’agosto 2014». Anche in altri villaggi vicini i cristiani sono ritornati e prendere possesso delle loro case, per lo più distrutte, e dei loro beni. A Karamlesh è rientrato il 26% degli esuli, mentre a Telskuf più del 70% dei residenti, la percentuale più alta della zona”.

Un affresco potente che dà conto dell’enormità dell’evento che si sta per realizzare: la visita del papa nelle terre dell’infranto mosaico iracheno all’insegna del motto evangelico “siete tutti fratelli”.

 

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