Fermi restando i fondamentali diritti, soprattutto la contrattazione aziendale potrebbe condurre alla condivisione di attività rivolte a mantenere il collegamento tra il percorso materno e la vita dell’impresa in modo da evitare quella prolungata estraneità che diventa l’anticamera della rinuncia alla carriera. L’analisi di Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro e presidente degli Amici di Marco Biagi
Il principale quotidiano economico ha oggi dedicato il titolo di “testa” all’ulteriore crollo demografico prodotto nel 2020 dalla caduta delle nascite e dalla crescita dei decessi in conseguenza alla pandemia. Numerose associazioni hanno contemporaneamente promosso un Festival (virtuale) della Vita Nascente in parallelo alla presentazione da parte di parlamentari di varia appartenenza di disegni di legge per l’istituzione di una giornata nazionale dedicata al nostro futuro (demografico).
La prospettiva è drammatica e vi hanno concorso, a partire dalla metà degli anni ‘70, la modestia delle politiche pubbliche di sostegno e la diffusa promozione, nella stessa televisione pubblica, di stili di vita opposti alla scelta responsabile della procreazione. La stessa cultura d’impresa, che nel pensiero unico enfatizza il diversity management con riguardo all’orientamento sessuale dei dipendenti, non ha veramente assunto la natalità come parametro positivo di compimento della madre e della coppia. D’altronde, anche le politiche pubbliche e la contrattazione collettiva centralizzata hanno interpretato la maternità in termini di obblighi e vincoli.
Al contrario, fermi restando i fondamentali diritti, soprattutto la contrattazione aziendale potrebbe condurre alla condivisione di attività rivolte a mantenere il collegamento tra il percorso materno e la vita dell’impresa in modo da evitare quella prolungata estraneità che diventa l’anticamera della rinuncia alla carriera. Informazione, formazione, coinvolgimento costante possono invece rappresentare strumenti utili a che l’impresa riconosca poi l’evoluzione genitoriale del “saper essere”. E comunque accordi che affermano il valore della maternità concorrono ad una cultura della vitalità in parallelo ad azioni pubbliche ben più decise.
Il piano delle riforme, le risorse europee per la ripresa, non possono non assumere l’obiettivo primario del riequilibrio demografico. A questo proposito, a stralcio della stessa riforma fiscale, servirebbe subito una disciplina di marcato favore per le famiglie numerose e la rapida diffusione di servizi di cura per l’infanzia, inclusi quelli condominiali delle “mamme di giorno”.
A fine anno si conclude poi la sperimentazione di “quota 100” per l’uscita flessibile dal mercato del lavoro. Il paradosso ha voluto che la parità di genere sia stata applicata a partire dall’età di pensione dimenticando che le donne adulte (e spesso anche le più giovani come abbiamo constatato nella pandemia) sono ancora penalizzate da percorsi lavorativi discontinui per cui anzianità anagrafica e contributiva coincidono. A differenza degli uomini. Avrebbe quindi senso immaginare una proroga della disciplina transitoria per le donne. Tutte le donne perché tutte hanno dovuto sostenere ruoli rilevanti per la comunità ma non sufficientemente riconosciuti e premiati.
La crisi demografica ci impone di ripartire dalla consapevolezza delle differenze di genere e dalla insostituibile funzione del “materno”.