La pandemia ha portato le relazioni internazionali su un piano cruciale: si stanno decidendo quali sono i principi organizzativi e valoriali sui quali si pensa di organizzare il sistema una volta usciti dalla pandemia, spiega il prof. Parsi, e in questo macro-contesto l’Italia si trova a muovere i propri interessi nazionali
“Tutto in questo momento è determinato dalla capacità di rispondere alla sfida pandemica, e questo sta ridefinendo le relazioni tra i giocatori”. Vittorio Emanuele Parsi, politologo, docente di Relazioni internazionali, direttore dell’Aseri dell’Università Cattolica di Milano, inquadra così, in una conversazione con Formiche.net, la situazione delle relazioni internazionali attuali.
“Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo”, dal titolo del suo ultimo saggio uscito in questi giorni. Gli Usa stanno attaccando, e sono attaccati da, Russia e Cina su un punto, spiega: quali sono i principi organizzativi e valoriali sui quali si pensa di organizzare il sistema una volta usciti dalla pandemia. “E i temi politici sono due: immaginare un futuro e lottare nel presente per controllare il processo che porta verso quel futuro”. C’è tutto.
“L’attenzione che Joe Biden dà all’Ue e ai Paesi europei e il tentativo di fare fronte comune occidentale a partire dai principi organizzativi del sistema”, spiega commentando la presenza – rara – del presidente degli Stati Uniti al consiglio dei capi di Stato e di governo dell’Ue. “E questo serve a far capire all’Europa, che fa fatica a pensare al Pacifico, che è in gioco l’occasione per rilanciare l’economia atlantica”.
Secondo Parsi, Washington è promotore di un pensiero cruciale: l’Occidente deve tornare a essere centro attrattivo, che faccia vincere i diritti e le democrazie, ma che sia soprattutto prospero economicamente. “Ed è per questo che Biden vuole che l’Occidente, dunque l’Europa, esca bene dalla pandemia”.
Il professore ragiona sul fatto che da qui nasce il governo Draghi: “Uscire dalla pandemia dal punto di vista delle vaccinazioni e dal punto di vista del Recovery Plan”. Ossia superare la crisi sanitaria ed economica.
È qui che si gioca la politica estera italiana, all’interno di questo macro-contesto? “Certamente. L’atlantismo di Draghi è un fattore importante, ma è anche altrettanto importante il suo pragmatismo”. Ci spiega: “Quando il presidente del Consiglio dice che possiamo prendere vaccini in Russia e Cina manda un messaggio a realtà come AstraZeneca e non strizza l’occhio a Mosca e Pechino, non va contro gli Stati Uniti: tutt’altro”.
Qual è l’orizzonte davanti a Roma, a Draghi? “Quello che verrà dopo Next Generation Eu, un accordo straordinario, che ci dice che è in corso una fase di riforma dell’Europa. Una fase mossa insieme agli Usa che vogliono che l’Europa sia un’area dove si accelera lo sviluppo quando c’è crescita e non aggravino le crisi quando si innescano: che non sia una zavorra”.
In questo diventano piuttosto importanti le dinamiche che all’interno dell’Ue Draghi può giocare. C’è un elemento specchio, il Mediterraneo: “La Francia sta pensando al processo europeo del futuro, con un occhio alla Germania e un altro all’autorevolezza di Draghi, che è certamente bene avere come alleato per trasformare l’Ue insieme all’Italia in una macchina espansiva”. Davanti a questo, continua Parsi, “Parigi accetta di trovare un punto di intesa su qualche dossier come la Libia”.
Restando sul Mediterraneo, ambito di proiezione geostrategica dell’Italia, se da un lato c’è questo potenziale allineamento con la Francia, dall’altro troviamo un altro terreno in cui misurarsi: la Turchia. “Recep Tayyp Erdogan ormai è ben consapevole che il suo Paese è sovraesposto: il suo è un ottimo caso per capire come la pandemia sta cambiando il mondo, perché Ankara sente il peso reale della crisi sull’economia, e sta giocando su tanti tavoli con sponda solo in Russia”.
Recentemente c’è stata una telefonata tra Erdogan e Draghi, che dire? “Immagino che Roma possa aver fatto capire che è nell’interesse di tutti trovare un accomodamento che salvi la faccia a tutti e consenta a ognuno di trovare un proprio vantaggio, sebbene restino elementi di distanza: Erdogan deve trovare un modo per star fermo seduto al tavolo senza giocare qualche mano e comprendere quali prese possano essere possibili per lui”.
Scendendo ancora nel Mediterraneo, passando per l’intasata Suez e doppiando il Corno d’Africa si aprono le acque dell’Indiano, inizio dell’area geostrategica definita “Indo Pacifico”, che è sempre più oggetto di attenzioni, su cui gli Usa sembrano in parte interessati a traslare le relazioni transatlantiche sovrapponendole a quelle asia-pacifiche (lì per esempio hanno giocato una partita sulla pandemia organizzando una supply-chain sui vaccino con il Quad), e Francia, Germania, Regno Unito e Ue hanno sviluppato delle strategia.
Secondo lei, cosa dovrebbe fare l’Italia? “Su quadranti così ampi e geograficamente remoti, la prima cosa da tenere a mente è la necessità di agire in maniera coordinata e all’interno delle reti di alleanza. Come per esempio facciamo proprio nell’Oceano Indiano occidentale, con la partecipazione della nostra Marina Militare alla missione Atalanta”.
La missione Atalanta (targata Ue e guidata fino a pochi mesi fa dalla Marina) si svolge al largo della Somalia e del Corno d’Africa, assume ulteriore sensibilità in questi giorni in cui con il Canale di Suez è bloccato e le shipping company che pensano a rimodulare le rotte doppiando Buona Speranza hanno richiesto agli Stati Uniti di monitorare la libera navigazione (tema caro a Washington) e renderla sicura dalla pirateria. In questo, va dunque ricordato il ruolo dell’Italia che si muove sia nel Golfo di Guinea (dove per altro si è esercitata con gli americani) e sull’altro lato africano verso l’Indiano.